Decidendo di utilizzare dei vecchi lenzuoli appartenenti alla mia infanzia mi sono promesso il tentativo di raccontare una storia non comprensibile del mio passato, criptica e quasi indecifrabile. L’intenzione non è quella di nascondere il mio trascorso, ma esso risulta comunque inevitabile, in quanto il fruitore non è a conoscenza dei miei ricordi.
Questa criticità fa sì che il lavoro si ponga come spunto e non come oggetto di riflessione: esso è specchio di chi guarda, io stesso mi sottraggo all’indagine, costringendo lo spettatore a un confronto interiore e in solitaria.
L’idea di tempo scompare, il fruitore no,
Anche tu dormi è misura del personale.