Ho sentito la necessità di misurarmi con l’idea di tempo, in particolare con i suo limiti, e con il passato. In questo caso ho lavorato in un range imposto di cinque minuti. La mia camminata non vuole essere semplice movimento, ma testimonianza di un ricordo, azione che svolgevo molto frequentemente con mio nonno quando ancora era in vita. La casa operaia da cui sono partito era di sua proprietà, la mia famiglia visse li per molti anni, fino allo sfratto finalizzato alla realizzazione di un consorzio di villette mai costruite. Il video è volutamente poco nitido, mosso, per far immergere maggiormente chi guarda in questo passeggio. Mio nonno lavorò molti anni per questa azienda, poi la crisi edilizia degli anni Novanta, nonché la fragilità strutturale della società che, dopo la morte del fondatore nel 1983, navigò continuamente in acque turbolente, mosse dalle rivalità nella compagine familiare che la gestiva. Nel 1997 invece si arrivò alla definitiva chiusura dello stabilimento e alla sua smobilitazione. Non ho mai potuto vederla in funzione ma ho sempre immaginato come potesse essere il lavoro in quei luoghi che ormai ospitano solo resti fatiscenti. Questa idea di non raggiungimento è quella che poi rispecchia le intenzioni del mio progetto, una camminata che ha come destinazione questo lago da cui veniva estratta l’argilla, simbolo per me di serenità e del rapporto con mio nonno, ma senza riuscire però nell’intento per via di un tempo a disposizione troppo limitato. Il mio gesto vuole essere una sorta di rianimazione del ricordo, del luogo da anni lasciato all’incuria, una forma di rispetto che si fa memoria di mie sensazioni passate ormai sbiadite. Per concludere mi sento di affermare che Deadline for lake - five minutes si fa rappresentazione della nostra vita, fatta di personali e diversificati obbiettivi che, a causa delle caotiche dinamiche del contemporaneo, spesso vediamo sgretolarsi sotto i nostri occhi o allontanarsi alla loro quasi realizzazione. Una tensione costante verso il raggiungimento del traguardo che non vuole però necessariamente assumere una connotazione negativa, ma anche alimentare quello stimolo vitale, in questo caso “infinito”, che ci permette ancora di sognare.