L'opera fa parte della serie Via di mezzo, un ciclo di lavori che indaga sul rapporto che intercorre tra l'idea di dualità e il concetto di soglia, due immagini strettamente interconnesse che da sempre hanno fatto interrogare donne e uomini lungo tutta la storia del pensiero.
Dal punto di vista tecnico i due colori permettono di generare una vibrazione, una fermezza e un dinamismo allo stesso tempo, quella che potremmo chiamare “armonia discorde” (concordia discors). Il binomio rosso-blu è una metafora, o meglio la costruzione di un simbolo (nel senso di «unire, gettare assieme») che dà corpo alla dualità del comportamento umano. Razionale e irrazionale, mente scientifica e immaginativa, pensiero logico e sentimento religioso, materiale e immateriale, conoscenza e sentire esperienziale, sono solo alcune delle carte da pescare nel duplice patrimonio dell'essere umano. Essendo duale la modalità con cui affrontiamo la realtà, anche questa ci appare ambivalente, di conseguenza siamo continuamente esposti a tensioni opposte che si presentano a noi e in noi. La frattura più interessante resta quella interiore alla psiche umana e consiste nella dualità conflittuale ma feconda tra conscio e inconscio. Questa dualità, sorgente di quasi tutti i drammi, ma anche delle abilità superiori e delle esperienze più profonde di ognuno, viene dibattuta innumerevoli volte in letteratura e recentemente evidenziata anche dalla ricerca scientifica, la quale spiegherebbe l'evoluzione biologica come il confitto tra conservazione e innovazione.
L'essere umano, questo “mostro incomprensibile”, è così sospeso a cavallo tra le sue scissioni, sulla soglia tra il rosso e il blu, insieme “angelo e bestia”, e posto nella condizione di sperimentare in un sol colpo tutta la sua miseria e la sua grandezza, sconfinatamente. In tal senso, abitare la soglia significa porsi nell'ottica di un moto duplice che, seppur non risolvibile, viene riportato alla luce, non come sintesi ma come apertura che pone in comunicazione gli estremi.
Il linguaggio della verticale
C'è nell'uomo un desiderio di eternità che talvolta si manifesta come un segno che è al contempo affermazione e lacerazione, maestosità e attesa angosciante, testimone del nostro esser-ci attraverso una tensione combattiva e precaria che chiede di essere esaudita.
Ciò è reso pittoricamente tramite una linea verticale, una cicatrice nell'aria che, esposta alle intemperie senza occasioni di riparo, si staglia come una domanda nuda a cui nulla fornisce un appoggio di senso. Si sostiene da sola e, se si impone, lo fa con la sola sua nitidezza, con il suo essere nient'altro ce se stessa. Un affare di fuoco e di tosse che rimanda alla coriacea fiaccola leonardesca: «come fiamma più cresce più contesa / dal vento, ogni virtù che 'l cielo esalta / tanto più splende quant'è più offesa»1.
Quella ferita, quella fiamma, che non si stanca di ripetere: «sono qui», affermando coraggiosamente quella singolarità che, sfociando nell'impersonale, smette di essere autoreferenziale e diventa simbolo dell'umanità intera, concretizzandosi in quello slancio che ha la precisa intenzione di incastonarsi e non ricadere mai.
L'opera è stata concepita per essere pensabile anche come il pannello centrale di un trittico, in dialogo dinamico con elementi laterali che all'occorrenza possono variare. In foto due esempi installativi (Courtesy Galleria Studio la Linea Verticale, Bologna)
1 MICHELANGELO BUONARROTI, Rime/48, a cura di di Enzo Noè Girardi, Laterza, 1960, p. 24.