Golem (2023)
La scultura collocata in piazza Catuma prende ispirazione dal Golem, la figura mitica dalle sembianze umane, priva di facoltà intellettiva ed esente da qualsiasi tipo di emozione, ma dotata di una forza sovrumana, che appartiene alla tradizione cabalistica ebraica e che una leggenda vuole creata con una massa di argilla tratta dal fiume Moldava dal rabbino praghese Jehuda Löw – alla fine del secolo XVI durante il regno di Rodolfo II – per difendere la comunità ebraica di Praga dai suoi persecutori. Inaspettatamente, però, il Golem cominciò a crescere, diventando sempre più violento e incontrollabile e arrivando a uccidere alcuni ebrei e non. A quel punto il rabbino dovette intervenire: mutando la parola emet (verità), che aveva incisa sulla fronte del Golem, in met (morte), gli tolse la vita e lo nascose per sempre nella sinagoga vecchia-nuova di Praga.
Il Golem ( dall'ebraico gōlem , embrione , massa grezza), la cui vicenda leggendaria è stata ripresa con diversi esiti dalla letteratura nei secoli successivi, in particolare dal Romanticismo, ispirando nel Novecento anche alcune opere cinematografiche, è divenuto simbolo della forza della macchina , costruito per replicare le facoltà umane, ma capace di sfuggire – con risvolti drammatici – ad ogni tipo di controllo. Sempre presente nella tradizione popolare ebraica come metafora della superbia dell'essere umano che vuole emulare Dio, la figura del Golem è stata associata al mostro creato da Frankenstein, entrambi rivelativisi difettosi e di conseguenza divenuti ingovernabili.
Il Golem di Dario Agrimi si presta a una duplice lettura. Il suo gigante di argilla cruda è evidentemente la metafora di quella che viene considerata quasi unanimemente l'urgenza più drammatica del nostro tempo, a causa dei danni del cambiamento climatico provocato dalla sempre più dissennata e dannosa azione umana sull'ambiente. L'alternarsi di abbondanti e disastrose precipitazioni e di periodi di forte e persistente siccità è evocato dalle modifiche che l'argilla che ricopre la superficie della scultura potrà subire dagli agenti atmosferici, disfacendosi pian piano e lasciandone intravvedere la struttura interna. La terra – sembra suggerire l'artista – ferita da ricorrenti e in molti casi imprevedibili e inevitabili eventi catastrofici si avvia a diventare di volta in volta arido sconfinato deserto o malsana e perniciosa palude, in cui la vita umana si farebbe difficile e infine impossibile.
D'altro canto, il Golem di Agrimi si fa lampante e toccante paradigma della problematica condizione dell'uomo nel mondo contemporaneo, in cui la sistematica e pressante invasione dei media provoca pericolose e persistenti ansie e insinua continuamente dubbi nella mente degli individui. Un'epoca in cui l'intelligenza artificiale scardina ogni certezza, al tempo stesso creando inedite, false ed effimere verità, che possono essere sconfessate solo attraverso un impegno continuo e approfondito dei singoli e delle comunità.
Ancora una volta, Agrimi – con una proposta originale e dunque sorprendente, ma al tempo stesso convincente – fa ricorso al paradosso per aiutarci a prendere atto di quanto di primo acchito può sembrarci lontano nel tempo e nello spazio, ma che invece oggi ci riguarda tutti indistintamente e ovunque.
Non è un Golem che salverà il nostro pianeta, ma solo l'azione responsabile, determinante, concreta e ormai improcrastinabile dell'umanità.
Non è un Golem, che darà all'uomo contemporaneo la serenità e l'equilibrio, indispensabili per guardare con fiducia il futuro e affrontarlo con coraggio.
Altrimenti, sarà la fine. La nostra. La Terra potrà fare a meno di noi.
Lia De Venere