IANUA è un connubio di performance art, video art e fashion design, e si
presenta come un’apologia audiovisiva di tutti quei piccoli gesti che
esistono ai margini della straordinarietà imposta, e che, nonostante ciò,
possono forse contribuire a renderci più umani.
Ambientata nel dark cube di Kilroy Was Here, pubblicata sul magazine XinCi di Hong Kong e recensita positivamente da Ron Athey, la performance dialoga con lo spazio trasformandolo in un luogo altro, un connubio tra campo rituale e locale notturno, in cui la sacralità dei gesti riverbera nei bassi sintetici della musica sperimentale.
I movimenti del performer uniscono infatti due atti lontani nel tempo e nello spazio, generando inaspettato incontro tra rituali agresti arcaici e la tediosa ricerca delle chiavi in una qualsiasi borsetta contemporanea.
Il risultato è un’inversione valoriale del rito rurale piemontese delle
rogazioni, occasione in cui i
parroci e la popolazione, vestiti di bianco, conducevano una sentita benedizione del suolo,
simbolo di nutrimento e di unione del paese.
In IANUA, la dicotomia tra individuo e collettività si ribalta, la terra un tempo benedetta come sorgente di vita e connessione viene distrutta e disgregata fino a diventare fango che macchia, niente più che un ostacolo nella egotistica ricerca delle chiavi, metafora di unicità e successo.
La porta proiettata e distorta che fa da sfondo al rito incarna dunque
l’apparente accessibilità del
successo, la metastatica
convinzione che la fama possa aiutarci a essere
compresi, l’incomprensibile pretesa che il lifestyle
dell’influencer possa applicarsi senza problemi alla psiche di tutti senza distinzioni.