Questo dittico,
realizzato dal Collettivo Interno 9, è la combinazione di un dipinto realizzato
con tecnica tradizionale e di un dipinto realizzato con tecnica robotizzata. Il
lavoro va al di là della pura percezione visiva; si radica su riflessioni che
coinvolgano la tecnologia come mezzo esplorativo di noi stessi, il rapporto tra
nuovo e consolidato e gli automatismi visti come estensione del nostro agire e
percepire.
Descrizione
della tecnica:
1)
Il
primo dipinto viene realizzato con tecnica tradizionale da Marco Giacobbe;
2)
Una
persona analizza il dipinto, osservandolo con gli occhi; durante questa fase,
un eye-tracker (strumento in grado di misurare il punto di attenzione degli
occhi) rileva dove la persona punta lo sguardo;
3)
La
traiettoria registrata dall’eye-tracker viene mimata da un robot che lascia
cadere i colori sulla tela emulando una tecnica dripping.
Per
maggiori dettagli/informazioni sulla performance non esitate a cliccare sul
collegamento al video.
https://youtu.be/9tHsLku4zkw
Il dittico
è associato a un racconto che ne diviene allo stesso tempo parte ispiratrice e
completamento, recuperabile al sito: https://sites.google.com/view/lavitadovrebbeessereunalinea/r30-jj
Motivazione:
Fin dagli albori dell’umanità, ogni strumento inventato
per necessità pragmatica, prima o poi ha finito col diventare mezzo comunicativo
di espressione artistica. Ed ora più che mai, nell’era moderna, la tecnologia è
diventata simbiotica con la nostra quotidianità; non è più separabile dalla
nostra dimensione di esseri umani. L’artificiosità è diventata elemento
caratterizzante dell’uomo e della donna, le estensioni digitali amplificano le
azioni, i sensori acuiscono le sensazioni… si può ascoltare il sussurro di una
formica come pure la deflagrazione di una supernova a distanza di anni luce.
Inevitabilmente il mondo dell’arte ha assorbito per osmosi il comune sentire e
progredire dell’umanità.
Ciò non di meno, l’arte figurativa ed astratta classica,
come la pittura, rimane un baluardo che si innalza sopra il mare di tecnologia.
L’essere vivente ha bisogno di colori, di toccare la trama materica di un
dipinto, di cogliere la gestualità del pittore nei segni della tela e di farsi
investire dalle emozioni.
Le motivazioni del progetto proposto sono ispirate
dalla volontà di fare interagire i due mondi: quello dell’arte consolidata e
quello della tecnologia. La performance è come un filo che, a momenti
intermittenti, imbastisce con spontaneità i due elementi eterogenei ma
olistici.
Quando un fruitore ammira un quadro, i suoi occhi
saltellano da un punto di attenzione all’altro, attardandosi su alcuni dettagli
ed ammirandone altri. È un percorso percettivo che merita di essere evidenziato
in quanto ingrediente fondamentale dell’opera stessa; un’opera senza chi la osserva
è prodotto sterile. Noi abbiamo dato concretezza a questo processo percettivo
con la misura di un eye-tracker (il mezzo che cattura la fase percettiva degli
occhi). Ma, invece di relegare questi dati a pura informazione digitale,
abbiamo concesso loro corporeità facendo in modo che un robot, in autonomia, li
consegnasse a un altro quadro.
Ecco che i due quadri, quello dell’artista
biologico e quello del robot, diventano una dicotomia: sono separati ma imparentati,
si parlano tra di loro perché il secondo è la “visione” del primo. Il dipinto
tradizionale ha in sé la forza della tradizione e la ricchezza del consolidato;
il dipinto robotizzato manifesta tratti acerbi ma che lottano per lanciare il
loro messaggio. I due sono come un padre e un figlio che si tengono per mano e
camminano senza preoccuparsi di giustificare le loro azioni; sono sereni,
orgogliosi, e guardano avanti. Chi osserva i due lavori coglie con un colpo
d’occhio la magia della percezione e la complicità tra le diverse tecniche.