«Il
piacere più grande ce lo danno i frammenti, e non a caso nella vita proviamo il
più grande piacere quando la vita stessa ci appare come un frammento, e come il
tutto è per noi raccapricciante, come è
orribile, in fondo, la perfezione di tutto ciò che è compiuto»
Thomas Bernhard – Antichi Maestri
La
modernità ci ha consegnato una realtà sempre più frammentaria, composta di
sovrapposizioni di rovine, aneliti di speranze infrante, cui è necessario far
riferimento per comprendere la nostra storia.
Berlino
conserva nei suo lacerti e nei suoi “segni” le diverse idee di città che sono
andate stratificandosi nella sua evoluzione: dai singoli edifici, oggi veri e
propri monumenti, progettati da Schinkel in epoca prussiana, ai progetti mai
realizzati da Hilberseimer, Gropius e Mies Van der Rohe per la Berlino moderna;
dai resti monumentali del piano per la Capitale del Terzo Reich di Albert
Speer, all'edilizia civile postbellica e i successivi tentativi di restauro
della prima Germania divisa; infine dall'esperimento dell'IBA (Internationale
Bauausstellung, 1979-1987), maturato nell'esperienza della più dura violenza
fatta alla città stessa, con la costruzione del Muro di divisione tra Est ed
Ovest della capitale tedesca, alla Berlino del Senatsbaudirektor Hans Stimmann
dal 1991 al 2006, che con la cucitura di questa profonda ferita ha dovuto fare
i conti.
Se
infatti una città non possiede nel suo sviluppo un unico “senso”, essa sembra
perlomeno avere un unico “destino”, che va concretizzandosi nell'esistenza
della città stessa, e come giudice inequivocabilmente conserva i suoi caratteri
essenziali e getta via ciò che non può avere permanenza.
L'identità
urbana si conserva in nuce tra le stratificazioni della città, e solo
attraverso una memoria operante le rovine da mute macerie possono acquistare la
loro attualità e operatività progettuale, costruendo il passato con l'occhio
prospettico del proprio presente.
In
questo modo Dino De Simone si avvicina allo studio di Berlino e ne ricostruisce
lentamente la “forma urbana”, rappresentata in “scena urbana”.
Più
che alla città in sé, nella sua unicità, il punto di vista è rivolto all'Architettura
della Città come manufatto, composto di parti, comprensiva di tutte le
tracce rinvenibili, ma anche di quei legami in assenza coi suoi elementi
perduti.
In
questo vi è una prima analogia con “L'Angelus Novus” di Walter Benjamin, citato
in più disegni: lo stesso viso rivolto verso la catena di eventi del passato
cui dare senso nel presente, lo stesso interesse per le parti, i processi e i
modelli dell'architettura, ed anche la stessa “frammentarietà”, come tipo di
scrittura testuale, in cui la tecnica del montaggio di impressioni, idee,
citazioni e riferimenti, nel loro accostarsi lasciano emergere significati
inediti.
Così
elementi diversi convivono nella stessa scena urbana, svelando la capacità di
fare progetto della composizione o ri-composizione del disegno e della pittura,
riconducendo le parti ad un “senso”, che tuttavia non è mai del tutto
conclusivo, perché queste scene berlinesi non sono fine a se stesse, condotte
da un'operazione a priori, bensì il frutto della 'contaminatio' dei linguaggi e
delle esperienze artistiche e architettoniche, che ci hanno traghettato nel
nuovo secolo, e degli strascichi delle tragedie della storia.
Va
così in scena il dramma dello storico, che non può nascondere dietro la pretesa
di oggettività, gli scarti autobiografici cui la memoria può condurre, quando
sospinta dalla passione.
In
questo senso il titolo “Cronaca Berlinese” è quasi un elogio a questo paradosso
artistico e scientifico sulla verità: il termine “cronaca”, che di per sé
rimanda ad una sintesi oggettiva di un'analisi disinteressata, si tramuta di
fatto in “narrazione”, riallacciando i fatti in un discorso sulla città, che
lascia trasparire una piega emotiva, ricordando come in fin dei conti
«l'analisi non è una scienza fredda, (ma) passa nei cuori e li scuote.»
La
figura di Walter Benjamin, citato letteralmente in alcune scene accompagnato
dalla sua valigia scura, contenente il disegno di Paul Klee “Angelus Novus”,
quasi un simbolo che evoca il bagaglio della memoria, è una sorta di analogo
dell'autore stesso delle opere. Entrambi viaggiatori solitari nell'architettura
della città, attraversando gli höfe berlinesi, luoghi che conservano nel
rapporto tra spazio pubblico e privato il carattere costitutivo della città
europea, alla ricerca instancabile di un senso per l'esistenza umana
all'interno della metropoli moderna e dei suoi significati più profondi.
Significati
e sensi che vanno forse cercati proprio nella capacità della memoria di scavare
nella storia e stringere legami tra i frammenti, riportandoli ad un 'logos', ad
una 'forma', che ne conservi tuttavia il loro carattere singolare.
Una
concetto che può esser meglio spiegato, usando le parole della “Autobiografia
Scientifica” di Aldo Rossi, uno dei riferimenti non nascosti, alla base del
“progetto” di De Simone.
«Ogni
luogo è singolare proprio nella misura in cui possiede sterminate affinità o
analogie con altri luoghi; anche il concetto di identità e quindi di straniero
(…). Ogni luogo si ricorda nella misura in cui diventa un luogo di affezione o
nella misura in cui siamo immedesimati».
E
allora si spiega l'elezione di alcuni luoghi Berlinesi a riferimenti costanti
di questa serie di rappresentazioni, come la Spreeinsel carica di tutti
i suoi musei, il progetto dell'appena citato Rossi per il Deutsches
Historisches Museum, o ancora il fiume stesso della Sprea; luoghi che
rappresentano la memoria collettiva e che restituiscono senso di appartenenza e
quindi identità civile, al di là dall'essere cittadino o forestiero, ma
comunque e sempre individuo di questa civiltà.
Sono
luoghi “monumentali” che si fanno carico di tutti i lutti e le tragedie che
hanno investito la capitale tedesca, ma che riguardano tutta la storia
dell'uomo.
La
ripetizione quasi esasperante di queste architetture rammemora e al tempo
stesso fornisce i valori per poter continuare a costruire la città, come
manufatto umano di vita civile; il ripetersi del riconoscimento di se stessi
nei luoghi e nelle espressioni della città, crea quell'affezione e
partecipazione emotiva, per cui è lecito assumere ogni città, come la propria
città, e quindi Berlino come propria capitale. (Luca Cardani)