ITA:
Spesso prendo consapevolezza della staticità che pervade il mio corpo. Esso è come il mio abito, mi condanna come ad un luogo fisso, ad uno spazio circoscritto ed insuperabile che corrisponde sempre al suo. Non posso cambiare luogo senza di lui, non posso lasciarlo quì e andarmene altrove.
Ma nel momento in cui mi rendo conto di questa condizione, inizio a rivolgere la mia attenzione verso di esso: inizio a muoverlo, a sentirlo e percepirlo sia esternamente che interiormente. È proprio mettendolo in moto, scuotendolo ed agitandolo che posso andare in altro luogo, rinnovare me stessa, attivando un’evoluzione che si perpetua ogni qual volta sento la necessità di trasformare il senso di oggettività pesante che mi rende statica e fissa. In questo modo tutto comincia a prendere vita.
Il corpo diviene così spazio espressivo, origine di tutti gli altri spazi. Da esso si diramano una serie di dimensioni altre che crescono grazie ed attorno a lui.
Si innesca un’espressione della possibilità, di una continua rigenerazione capace di manifestarsi da un sovrapporsi dell’azione stessa.
Una traccia decisa ed insistente viene incisa per il tramite di un mutuo contatto tra il mio corpo e lo spazio attraversato. Lo skateboard diviene in questo caso il medium, protesi corporea, che mi permette di attuare questa spostamento ed andare altrove. L’atto non va a coinvolgere solo la componente fisica, ma anche quella più interna, emotiva, mentale: una proiezione della propria identità al di fuori di sè attraverso la tavola, verso lo spazio contiguo. Un fiume di movimenti, immagini, immaginari, fantasie che emergono ma che permangono per come si presentano solo per qualche istante; l’istante successivo saranno già proiezioni diverse entrate all’interno di un flusso di trasformazione, decostruzione e ricostruzione continua.
In questo senso, il corpo diviene come un punto di accesso al regno dell’essere. Lo spazio va ad assorbire le realtà che mi appartengono e che si rivelano nel mentre che sono in movimento. I segni divengono rappresentativi di un serbatoio energetico, di uscire dal luogo stesso, di emergere in modo silenzioso segno dopo segno. Sono tracce colme di vita, di piccoli avvenimenti. È un vero e proprio linguaggio, una traccia energetica che diventa immagine.
ENG:
I often become aware of the static that pervades my body. It is like my dress, it condemns me as to a fixed place, a circumscribed and unsurpassed space that always corresponds to his. I can’t go anywhere without him, I can’t just leave him here and go somewhere else.
But as I realize this condition, I begin to turn my attention to it: I begin to move it and feel it both externally and inwardly. It is precisely by setting it in motion, by shaking it that I can go to another place, renew myself, activating an evolution that is perpetuated whenever it needs to transform the sense of heavy objectivity that makes me static and fixed. In this way everything begins to come to life.
The body thus becomes an expressive space, the origin of all other spaces. From it branch off a series of other dimensions, which grow thanks and around him. It triggers an expression of the possibility, of a continuous regeneration capable of manifesting itself by an overlapping of the action itself.
A determined and insistent trace is engraved through a mutual contact between my body and the space crossed. The skateboard becomes in this case the medium, body prosthesis, which allows me to carry out this repositioning and go elsewhere. The act must involve not only the physical component, but also the more internal, emotional, mental ones: a projection of one’s own identity outside oneself through the table, towards the contiguous space. A river of movements, images, imaginary, fantasies that emerge but that remain as they appear only for a few moments; the next instant will already be different projections, entered within a flow of transformation, deconstruction and continuous reconstruction.