"Piove sui pini, scagliosi ed irti"... è il ricordo infantile della pineta di dannunziana memoria, la pineta ombrosa e silvana che ancora negli anni ottanta del novecento proteggeva i nostri sogni, qui ormai rappresentata come un simulacro poetico, impresso sostanziato attraverso la plastica e ancorato nell'acciaio. Il paradigma dell'ambiente antropizzato è così espresso, un'idea di natura selvaggia ormai scardinata dal suo spazio proprio e connotante, l'albero che resiste alle forze naturali: alla salsedine, ai fulmini, alle raffiche dei venti diviene effimero, costituito dalla sua polvere inglobata nella plastica.
La pioggia nel pineto è il titolo evocativo di questo trittico
scultoreo realizzato con le più moderne tecniche scultoree: il disegno a tre
dimensioni, un filamento plastico biodegradabile l’acido polilattico (noto con
l’acronimo PLA) addizionato di fibra di legno, viene estruso a caldo tramite
una penna a mano libera.
Pensata per uno spazio meditativo l’opera è essenzialmente un
alto rilievo dal forte impatto formale, l’elemento naturale esce fuori dal
piano artificiale, liscio e riflettente, che lo sostiene. Gli alberi i tre pini
marittimi, qui riconoscibilmente sintetizzati attraverso la loro struttura di
radici tronco e rami, si stagliano nel vuoto cercando di resistere alle forze
naturali, mentre l’uovo qui volutamente a metà è l’elemento generatore di vita che
salda idealmente l’albero sfuggente ad una parete asettica, liscia e lucida simbolo
dell’ambiente antropizzato. Un simulacro della nostra società contemporanea, in
cui gli alberi produttori di ossigeno utili alla nostra sopravvivenza vengono celebrati
dalla propaganda ideologica ma ignorati nella sostanza, saranno così solo un
ricordo a cui attribuire il valore di spirito.
Lo spirito che guida la mano dell’artista nella sua
realizzazione compiuta, questa tecnica permette di pensare e quasi
contemporaneamente realizzare l’opera, un disegno a volte lento e meditativo
plasmabile e fatto di materia concreta malleabile solo per pochi secondi, “come
Rosso che le sue opere amava forgiarle con il calore delle proprie mani, sentirne
il respiro e coglierne il fascino della trasformazione” così Lorella Giudici si
riferiva al processo creativo di Medardo Rosso. Qui la sensazione è esaltante
si riducono i processi, il pensiero si fa oggetto attraverso la tecnica. “Piove
su i pini, scagliosi ed irti” così recitava D’annunzio nell’Alcyone, i
rami irti dei pini si protendono in avanti come le dita di mani nodose e
nervose, il tronco ricalca il gesto della sua formazione quasi una pennellata
materica che sale e si avviluppa dal tronco ai rami. L’impianto prospettico
sfugge ad un inquadramento tradizionale o architettonico ma s’impone come vista
dall’alto, come l’istantanea catturata dalle stampe giapponesi del XVIII° e del
XIX° secolo. Un guizzo libero dello spirito.