Pietro Panza (Pietro Atelier) è un’artista a confronto con l’ambiente ecologico, inteso anche come contesto formale, politico storico e sociale. Stabilisce sin da subito un’affascinazione dell’informale materico di Burri dove riaffiorare le proprie radici, così come i solchi sul legno...
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Pietro Panza (Pietro Atelier) è
un’artista a confronto con l’ambiente ecologico, inteso anche come contesto
formale, politico storico e sociale.
Stabilisce sin da subito un’affascinazione dell’informale materico di Burri
dove riaffiorare le proprie radici, così come i solchi sul legno defluiscono
paesaggi come tableau mondrianiani. Tecnica mista tra resine e gessi, fuoco e
cenere, catrame rame e ruggine in un rapporto fra luce e materia come fossero
zolle, terra da arare.
Nelle opere di “Antropocene il
Velo di Maya” Pietro Atelier esprime (posta come scienze umane) il fallimento
del processo di modernizzazione pensato come sostituzione della natura con la
tecnonatura (in quella sorte di cannibalismo e parassitismo proprio del dominio
vivente). Osserva poi, di questo termine storico (Antropocene) quanto un tempo
cosmico (Natura) sia stato completamente assorbito da quello umano (Tecnica) in
una spinta profonda e pervasiva, divenendone così il nuovo “soggetto della
storia” e della natura stessa, non più ANTROPOCENE bensì TECNO-CENE. È dunque
un’esperienza artistica quella di Pietro Atelier che sperimenta la relazione
tra arte natura e tecnica in una terra incognita planetaria con la quale ci
dobbiamo riconcettualizzare anche in chiave etica-antropologica.