Giovanni (Gianni) Colalillo (1964) è dottore fisioterapista osteopata.
Autodidatta, il suo percorso artistico inizia nel 1978, quando comincia a
dipingere per sé stesso, in un dialogo intimo con la materia e il colore. Per
molti anni ha custodito gelosamente la propria produzione, scegliendo solo nel
2010 di condividere la sua arte con il pubblico. La sua pittura è caratterizzata
da una forza espressiva vorticosa, dove il gesto sicuro e istintivo traccia
percorsi di luce e colore, creando composizioni cariche di suggestioni e trame.
Ogni opera diventa così un'impronta visiva della sua interiorità, tradotta con
potenza e rigore in un linguaggio pittorico che coniuga carattere e maestria. Socio
della Società Promotrice delle Belle Arti in Torino dal 2009 al 2025, ha
partecipato ogni anno alle loro mostre collettive. Ha scritto della sua ricerca
Guido Folco, editore e direttore di Italia Arte.
Vive e lavora a Isernia.
Antologia
"La sua pittura tocca temi legati alla vita umana, nei
principi della vita stessa, narra la tensione di un sentimento pulito e
sincero, semplice e profondo, che si relaziona ad un mondo poetico. Rilevante è
l’uso del colore forte e intenso, che svela la sua insinuante energia
interiore."
- Daniela Gabbi
"Colalillo rappresenta la realtà anche attraverso il segno
dinamico, rapido, dialogando con lo spazio e la struttura geometrica delle
forme, fino a toccare lirismi musicali e ritmici senza pari. Per l’artista la
pittura pura energia espressiva che erutta dalla tela come colata lavica,
un’immagine totalizzante che non tiene conto dello spazio, superandone barriere
e confini."
- Guido Folco
"Colalillo, sondando la sfera del dualismo tra vita e
spirito, presenza e assenza, interpreta il desiderio e l’aspirazione alla purea
e alla libertà, all’eternità e alla vita. Il segno è flessuoso, le linee
delineano contorni e zone d’ombra e di luce, di colori complementari e opposti,
ricreando in pittura l’energia fluente dell’universo."
- Guido Folco
"Colalillo dipinge lasciando libertà alla mente e al segno di
esprimere sé stesso e le proprie pulsioni, emozioni che assumono la forma
dell’idea, del pensiero, dell’amore, la forma di un’arte che induce al
confronto, alla riflessione costante con l’Io."
- Guido Folco
Testo critico sull'artista di Tommaso Evangelista
Il quadrato sacro. Note su pittura, energia e spazio di
confine
Nella pittura di Gianni Colalillo
prende forma una costruzione segnica che si sviluppa come un percorso
interiore, dove la trama, ereditata dal tessuto, riaffiora poeticamente in
superficie attraverso spatolate calibrate. La pennellata si fa tessitura visiva,
viva, in un intreccio di segni che, pur mantenendo una precisione controllata,
vibrano di un’energia emozionale profonda.
I segni pittorici non sono semplici
tracce, ma elementi strutturali che generano una nuova armonia, basata
sull’interazione dinamica dei colori complementari. Il loro accostamento non è
mai arbitrario, ma costruisce un equilibrio raffinato che si avvicina a un
astrattismo lirico, capace di trasmettere impulsi senza perdere rigore
compositivo. In questo processo, la pittura si confronta con le problematiche
della trascrizione e della tessitura visiva, quasi come in un mosaico
sfaccettato e iridescente. Ogni segno diventa una tessera, un frammento che
cattura la luce e la rifrange, creando un effetto di profondità e movimento. La
superficie si anima di variazioni percettive sottili, in cui la materia
pittorica assume un valore evocativo, trasformando il quadro in un organismo
vibrante, dove memoria, gesto e colore si fondono in un unico respiro
espressivo.
Il colore, in particolare, si
manifesta come una incandescenza visiva, un’energia vibrante che emerge da una
soglia percettiva, simile a una cortina che al tempo stesso definisce il piano
dell’opera e ne suggerisce la profondità. Questo spazio cromatico sospeso
accoglie segni concreti e gestuali che si posano sulla superficie come
riflessi, evocando una narrazione stratificata che si sviluppa per cicli. Ogni
ciclo introduce nuove varianti espressive, ma è nell’ultimo che si compie la
sintesi più efficace e innovativa: un linguaggio raffinato, capace di generare
connessioni senza mai eccedere, mantenendo un equilibrio tra intuizione e
costruzione, tra emozione e struttura. La pittura, così intesa, non si limita a
essere rappresentazione, ma diventa un campo di forze in cui la luce e il
colore dialogano, dissolvendo rigidità e creando un continuum in cui il
visibile e l’invisibile si fondono in un’esperienza sensoriale e concettuale
unitaria. La tessitura della trama definisce il carattere dell'opera: può essere
statica, dinamica, in tensione o in apparente immobilità, ma sempre animata
dalla luce. Quest’ultima libera le costruzioni, attenuando la rigidità e
l’ossessività delle geometrie, donando respiro e profondità alla composizione.
La spatolata si carica di
un’intensità emozionale che va oltre il gesto pittorico, incidendo direttamente
nella materia e trasformando la superficie in un filtro vibrante, attraverso il
quale affiora uno schema cromatico in continua metamorfosi. Talvolta rigoroso e
geometrico, altre volte libero e istintivo, questo tessuto pittorico evoca la
lezione di Rothko e degli espressionisti astratti, dove il colore si fa spazio,
profondità, risonanza interiore. Le creste materiche, generate dalla densità
variabile della pittura, non sono semplici rilievi, ma vere e proprie
direttrici di energia che orientano le tensioni interne dell’opera. La
diversità di spessore e consistenza altera le relazioni tra gli elementi
costitutivi, ridefinendo l’equilibrio tra controllo e casualità, tra struttura
e vibrazione.
In tale processo, segni, tracce e
frammenti emergono come un archivio visivo della forma, una memoria meccanica e
stratificata che si deposita sulla superficie in livelli successivi. Il colore,
lungi dall’essere un mero elemento decorativo, diventa materia viva,
depositaria di un vissuto pittorico che trasforma il piano in un campo di forze
in cui emozione e costruzione si intrecciano.
Questa interpretazione del piano in
chiave emotiva si nutre dell’alternanza tra gesto e sedimentazione, tra
intenzionalità e imprevisto. Ne scaturisce una superficie densa di tensioni
interne, dove ogni intervento lascia una traccia che dialoga con le precedenti,
costruendo una grammatica complessa e stratificata. L’opera si rivela così come
un organismo pulsante, un palinsesto nel quale la pittura non è mai statica ma
si rigenera continuamente nel rapporto tra luce, materia e memoria. La pittura
si fa scomposizione luminosa, in un gioco di rifrazioni dove il susseguirsi
ossessivo di triangoli sottili riduce linee e superfici a puri indicatori
cromatici. Questa geometria pulsante, simile a un reticolo in costante
vibrazione, suggerisce la presenza latente di un paesaggio che affiora da una
coltre di luce frammentata. Non una rappresentazione diretta, ma una visione
filtrata, che si rivela per stratificazione e sottrazione.
Paul Klee affermava che “l’arte è l’immagine allegorica della
creazione”, e proprio in questa visione si inserisce la pittura come
rivelazione di realtà altre, percepite attraverso i sensi. Qui, l’integrazione
tra movimenti diagonali e concentrici, unita alle gradazioni cromatiche, genera
un dinamismo sottile: i colori complementari, disposti in opposizione rispetto
a un centro invisibile, si sfaldano e si sovrappongono, producendo variazioni
atmosferiche che dissolvono la rigidità del quadrato in un flusso continuo.
Questa è un’architettura del piano,
un incrocio di velature che conduce a massime concentrazioni di forze. Le
forme, spogliate del superfluo e sottotraccia, si liberano in una tensione
cromatica che non descrive, ma evoca, determinando impressioni quasi naturalistiche,
percepibili come meditazioni ai confini dell’astrazione e del sacro. Il colore,
intriso di una profondità instabile, si carica di un’energia latente, emergendo
sporco e sottile, segnato da un nero superficiale che ne spezza la purezza e lo
rende autonomo dalla particolarità delle cose. In questo processo, la pittura
diventa un campo magico in cui il visibile e l’invisibile si intrecciano, dando
vita a un linguaggio dove luce, forma e materia si fondono in un equilibrio
precario e vibrante.
Scomporre e riconfigurare significa
cercare consonanze universali all'interno di spazi transitori, luoghi di
confine in cui la percezione si fa instabile e mutevole. Lo spazio, lungi
dall’essere inerte, è una distesa in potenza, attraversata da correnti di forza
che ne rivelano la tensione interna. Tali energie, visibili e scomponibili,
emergono come tracce dinamiche che danno vita a strutture temporanee, forme
libere che si radicano nello spazio bidimensionale sottostante, in un
equilibrio precario tra ordine e dissoluzione. Sono percorsi di profondità,
visioni momentanee che affiorano per poi svanire, interrotte da scaglie
sottili, simili a squame evanescenti. Queste non definiscono un perimetro, ma
suggeriscono la forma rendendo al contempo impercettibile la struttura.
L’impressione generale è quella di un’osservazione analitica sulle energie
latenti, un’indagine che cerca nel flusso della materia un accadimento
visibile, un orientamento possibile, una rotta cosmica. Il quadr(at)o diventa
così una porzione del "tutto", un frammento che si fa luogo di
meditazione e sospensione, dove il segno e il colore tracciano coordinate in
uno spazio sacro, carico di eventi segnici e tensioni percettive.
Per Colalillo, la pittura è una
struttura percettiva, metaforica e spirituale. L’opera si sviluppa come un
cammino sacrale, un processo di rivelazione in cui l’artista, attraverso
allusioni segniche e trame scomposte, rende visibile l’invisibile. Il vuoto non
è assenza, ma movimento sotterraneo, presenza che si manifesta nel respiro
della materia pittorica. Il colore non si limita a costruire, ma assorbe e
trasfigura, rendendosi esso stesso sostanza del divenire. In tale spazio di
forze e dissolvenze, la pittura si fa specchio di un equilibrio instabile, un
luogo di tensione in cui il segno diventa testimonianza di un mondo (interiore)
in continua trasformazione.