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YEAR
2018
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Not for sale
ABOUT THE WORK
Material: videoarte,videoart,videoperformance
Il progetto a cui sto lavorando chiamato OTRO, riguarda le relazioni interpersonali. Ciò che mi riflette, mi edifica e mi... Read More
Il progetto a cui sto lavorando chiamato OTRO, riguarda le relazioni interpersonali. Ciò che mi riflette, mi edifica e mi contiene.
Siamo il fiume. Uno sguardo che si fonde con il prossimo. Un ponte, una quantità di noi che ci avvolge, ci sfida e ci contiene. Questo video è stato realizzato con 6 partecipanti sconosciuti, è tutto video, non è fotografia, anche se l'idea è un ritratto fisso che rappresenta ognuno di noi. Viene presentato come un video in un loop in cui ci sono 284 fotogrammi in cui appaiono altri che non c'erano mai.
Testo curatoriale:
La pelle è tutto. L'intimità un salvagente.
Sicuramente questo ti è mai successo. Sei in un luogo pubblico, in una città che non è tua, e in qualche modo inizi una conversazione con una persona sconosciuta. Essere in viaggio presuppone una certa permeabilità al nuovo, barriere che si alzano e una disposizione all'ignoto su misura per la curiosità di ciascuno. Senza rendertene conto, la tua conversazione entra in aree sempre più personali e, all'improvviso, ti senti raccontare cose che non avresti mai osato dire a nessuno.
Dicono che aprirsi di fronte agli estranei è molto più facile che con le persone che incontriamo, anche con i nostri partner o amici per tutta la vita. L'intimità è senza dubbio un fenomeno strano, sfugge a concetti che cercano di definirla una volta per tutte, eppure è una delle poche cose che tutti abbiamo mai sperimentato.
La privacy ha una data di nascita e, rischio, anche una data di scadenza. La sua apparizione nella nostra Storia della Soggettività non era affatto organizzata, non era nemmeno qualcosa di costruito da una volontà calma, intelligente e nell'uso di tutte le sue facoltà. L'intimità sembrava un'ancora di salvezza. Letteralmente.
Se dovessimo cercare le origini di qualcosa di simile all'esperienza dell'intimo come lo conosciamo oggi, dovremmo viaggiare fino alla crisi dell'Europa tra la fine del Medioevo e l'inizio dell'Età Moderna. Fu un periodo di brutali incertezze, forse il più grande della nostra storia - fino ad oggi? - a causa della crescita esponenziale della popolazione, dell'aspetto della città e della crescente concentrazione di persone in essa, e della fragilità sempre più evidente, di ciò che era considerato il potere sovrano. Una situazione di tale caos e incertezza da lasciare ognuno a se stesso. “Forse - sottolinea il ricercatore Fernando Peirone - l'unica via d'uscita possibile da questa riconfigurazione socio-culturale è stata la creazione della privacy, come istanza di tutela e conservazione della persona. Questo straordinario congegno - forse paragonabile solo alla "coscienza" che ha permesso alla specie umana di elaborare la propria vulnerabilità alla morte - ha funzionato come un dispositivo adattivo quasi darwiniano".
Se siamo d'accordo che la privacy è un'ancora di salvezza per l'Umanità in tempi di incertezza, dobbiamo ancora capire di cosa si tratta, quando appare e a quali territori ci darebbe accesso. Sono queste domande che hanno spinto l'artista multidisciplinare Daniel Romano a lanciare un progetto di ricerca visiva e concettuale sul fenomeno di ciò che gli "altri" producono all'interno della nostra identità. Ha organizzato una procedura di raccolta delle testimonianze che, non perché fosse ambiziosa, ha perso la sua parte di amore e cura: era un invito a persone - la maggior parte delle quali erano sconosciute - da ritrarre in video mentre avrebbe fatto una breve intervista con loro. Tutti quelli che si sono presentati sapevano, fin dall'inizio, che le riprese avrebbero coinvolto le loro pelli, i loro corpi nudi.
Questo campo di ricerca non è nuovo per l'artista, anche se il modo di agire artisticamente lo è. Daniel ha affrontato i temi delle relazioni umane nei suoi lavori precedenti. Più specificamente, delle relazioni interpersonali, sentimentali, amorose: quelle tipiche del desiderio.
Questo itinerario è iniziato con una serie di foto e un successivo libro intitolato PAR (2014). Le relazioni sono state viste dall'esterno - l'artista ha catturato "coppie" legate per qualche ragione meramente visiva - nella costruzione di un catalogo urbano di relazioni; Nei dipinti successivi, intitolati HUNT (2017/18), quell'ottimismo si è trasformato nella percezione di una minaccia imminente: ogni cacciatore è a sua volta una preda. Continuava a parlare d'amore, ma questa volta con un sapore più amaro e un rischio maggiore. Sarà dopo un viaggio in Cina che la sua visione dei legami sembra essere cambiata: lì, gli altri erano decisamente "Altri". Diversi non solo dal superficiale, come i tratti somatici o il linguaggio incomprensibile, ma anche nelle abitudini, nel modo in cui si muovono per strada, nel modo in cui si avvicinano e nel perimetro quasi invisibile dello spazio personale. Da quel viaggio è nata la mostra OTRO (2017) dove l'artista ha unito una fotografia molto lunga (larga 273 cm) di un'intera città cinese con un video in cui una figura ruotava sul proprio asse e cambiava volto mostrando persone di diversa etnia. "Mi sono trovato con la sfida di ripensare (me stesso) agli altri, che non sono e, quindi, a rivisitare il mio luogo di appartenenza".
Ora, in questa versione ricaricata di OTRO (2020), che possiamo vedere nella Wunsch Gallery, Daniel approfondisce ulteriormente la sua ricerca. La questione delle relazioni interpersonali continua ad essere al centro delle sue preoccupazioni estetiche, ma va un passo oltre il duo, il desiderio o la stranezza. Ha trovato un elemento assolutamente privato per tutti eppure universale. Si tratta di esporre il teatro dell'intimità, della nudità e sapere cosa ci fa percepire noi stessi come genuinamente noi stessi.
Come abbiamo visto sopra, l'intimità nasce come tutela e conservazione personale ed è proprio in quel paesaggio prezioso - a volte deserto e altre popolato come una giungla - che l'artista si addentra. Lo fa ponendosi le domande giuste e costruendo così un alibi conversazionale mentre chiede ai suoi intervistati di spogliarsi poco a poco e davanti alla telecamera. “Cos'è per te l'intimità? –La domanda non si sente ma si intuisce nelle risposte che abbiamo ascoltato nel video– Ti rendi conto quando sei davvero tu o quando stai cercando di essere qualcuno per l'altro? C'è qualcosa che ti costringe a non esserlo? Gli altri che limitano ti mettono così che sei tu?”. La pelle è servita all'artista come elemento metonimico –la parte per il tutto– per parlare di quello spazio dove tutto accade. La pelle «sono i brividi -risponde una delle sue intervistate- sensazioni, pulsioni, amore, rabbia, follia, sesso, morte, paura, la pelle è tutto, la pelle è.. sì, tutto qui».
OTRO si dispiega su più piattaforme visive perché solo così è in grado di dare conto e rappresentare l'irrinunciabile diversità che compone l'intimo. In uno dei video vediamo delle persone nude apparire, ruotare, il gruppo dispiegarsi in una sorta di tondo fluttuante su sfondo nero; in un'altra inizia una conversazione e senza fine se ne aggiunge un'altra, e poi un'altra, e così via, mentre osserviamo il relativo rilassamento o il franco disagio di questi estranei che si spogliano e riflettono sui limiti e la portata della propria intimità. Il nero di quegli sfondi su cui sono raffigurate le figure fa pensare non tanto alla semiotica visiva di un Bil Viola quanto al non-spazio e non-luogo delle composizioni iperconcettuali di Liliana Porter. La mostra è completata da una serie di disegni e dipinti in stretto riferimento ai video. Disegni di gruppi riuniti come mai nella realtà, rappresentati da linee che a malapena tengono conto della silhouette e che a volte sembrano toccarsi, sfiorarsi, appoggiarsi, guardarsi negli occhi: legame. I segni del pennello e lo scarico della materia sul supporto sono la carne viva dei dipinti dove il gruppo appare più teso che negli altri formati, vicini l'uno all'altro e in piena azione. In tutti i casi, l'artista ha manipolato l'esposizione di quei corpi; Li ha usati come materiale disponibile per la costruzione di un segno che ci affascina, che ci invita a ripensarci - come avrei agito in quella situazione? Che cos'è per me l'intimità? - e considerare l'apertura agli altri, come vediamo fare a questo gruppo di estranei.
Mariana Rodriguez Iglesias
Nuñez, primavera 2020
El proyecto en el que trabajo llamado OTRO, trata sobre las relaciones interpersonales. Eso que me refleja, me constiruye y contiene.
Somos el río.
Una mirada que se funde en la próxima. Un puente, una cantidad de nosotros que nos abarca, nos interpela y nos contiene. Este video se realizó con 6 participantes desconocidos, es todo video, no es fotografía si bien la idea es un retrato fijo que nos representa a cada uno de nosotros. Se presenta como un video en loop donde hay 284 fotogramas donde aparecen otros que nunca estuvieron allí.
Texto curatorial:
La piel es todo. La intimidad un salvavidas.
Seguro esto alguna vez te pasó. Estás en un lugar público, en una ciudad que no es la tuya, y de alguna manera empezás una conversación con una persona desconocida. Estar de viaje supone cierta permeabilidad a lo nuevo, barreras que suben y una disposición a lo desconocido hecha a la medida de la curiosidad de cada unx. Sin darte cuenta tu conversación entra en terrenos cada vez más personales y, de repente, te escuchás a vos mismx contando cosas que nunca te hubieras animado a contarle a nadie.
Dicen que abrirse frente a extrañxs es mucho más fácil de hacer que con las personas que conocemos –incluso con nuestras parejas o amigxs de toda la vida. La intimidad es, sin dudas, un fenómeno extraño, esquiva a conceptos que pretendan definirla de una vez y para siempre y, sin embargo, es una de las pocas cosas que todxs alguna vez hemos experimentado.
La intimidad tiene fecha de nacimiento y, arriesgo, también de vencimiento. Su aparición en nuestra Historia de la Subjetividad no fue para nada organizada, ni siquiera fue algo construido por una voluntad tranquila, inteligente y en uso de todas sus facultades. La intimidad apareció como un salvavidas. Literalmente.
Si fuéramos a buscar los orígenes de algo parecido a la experiencia de lo íntimo tal y como lo conocemos hoy, tendríamos que viajar hasta la crisis de Europa entre finales del medioevo y comienzos de la Edad Moderna. Fue una época de brutales incertidumbres, tal vez la de mayor envergadura de nuestra Historia –¿hasta hoy?–, producto del exponencial crecimiento demográfico, la aparición de la ciudad y la concentración creciente de personas en ella, y la fragilidad, cada vez más evidente, de lo que se consideraba el poder soberano. Una situación de tal caos e incertidumbre que dejó a cada unx librado a su suerte. “Tal vez –señala el investigador Fernando Peirone– la única salida posible a esta reconfiguración socio-cultural, era la creación de la intimidad, como una instancia de resguardo y preservación personal. Ese notable artilugio —posiblemente sólo comparable a la ‘conciencia’ que le permitió a la especie humana elaborar su propia vulnerabilidad frente a la muerte— funcionó como un recurso de adaptación cuasi darwiniano”.
Si acordamos que la intimidad es un salvavidas de la Humanidad en tiempos de incertidumbre todavía nos queda por entender qué es, cuándo aparece y a qué territorios nos daría acceso. Son estas preguntas las que motivaron al artista multidisciplinario Daniel Romano a lanzarse con un proyecto de investigación visual y conceptual sobre el fenómeno de lo que “los otros” nos producen al interior de nuestra identidad. Organizó un procedimiento de recolección de testimonios que, no por ambicioso, perdió su cuota de amorosidad y cuidado: se trató de una convocatoria a personas –la mayoría desconocidas– para ser retratadas en video mientras él les haría una breve entrevista. Todxs aqullxs que se presentaron sabían, desde el principio, que el rodaje involucraría sus pieles, sus propios cuerpos desnudos.
Este campo de investigación no es nuevo para el artista, aunque sí lo es el modo de accionar artísticamente. Daniel viene recorriendo en sus obras anteriores los temas propios de las relaciones humanas. Más específicamente, de las relaciones interpersonales, sentimentales, románticas: las que son propias del deseo.
Este itinerario comenzó con una serie de fotos y posterior libro titulada PAR (2014). Allí las relaciones eran vistas desde afuera – el artista capturaba “parejas” vinculadas por algún motivo meramente visual– en la construcción de un catálogo urbano de vinculaciones; en las pinturas que siguieron, tituladas HUNT (2017/18), ese optimismo se convirtió en la percepción de una amenaza inminente: todo cazador es a su vez una presa. Seguía hablando del amor, pero esta vez con un sabor más amargo y un riesgo más grande. Será después de un viaje a China que su visión de los vínculos parece haber cambiado: allí, los otros sí que eran unos rotundos “Otros”. Distintos no sólo desde lo superficial, como pueden ser las facciones del rostro o el incomprensible idioma, sino también en sus costumbres, en la manera de moverse en la calle, en la forma de acercarse y el casi invisible perímetro de espacio personal. De ese viaje surgió la exposición OTRO (2017) en donde el artista combinó una larguísima fotografía (de 273 cms. de ancho) de todo un pueblo chino con un video en el que una figura giraba sobre su eje e iba cambiando de rostro mostrando a personas de diversos background étnicos. “Me encontré con el desafío de repensar(me) en los demás, en quienes no soy yo y, por lo tanto, revisitar mi propio lugar de pertenencia”.
Ahora en esta versión recargada de OTRO (2020), que podemos apreciar en la Wunsch Gallery, Daniel lleva su investigación todavía un poco más hacia lo profundo. La pregunta por las relaciones interpersonales sigue estando en el corazón de sus inquietudes estéticas pero va un paso más allá de la dupla, del deseo o de la extrañeza. Encontró un elemento que es absolutamente privado a cada quien y sin embargo, universal. Se trata de exponer el teatro de la intimidad, la desnudez y conocer qué es lo nos hace percibirnos como genuinamente nosotros.
Como veíamos más arriba, la intimidad nació como un resguardo y preservación personal y es, justamente, en ese paisaje atesorado –a veces desértico y otras poblado como una jungla– que el artista se mete. Lo hace a partir de realizar las preguntas justas e ir montando así una coartada conversacional mientras solicita a sus entrevistados que, de a poco y frente a la cámara, se desnuden. “¿Para vos qué es la intimidad? –la pregunta no se escucha pero se la puede intuir en las respuestas que oímos en el video– ¿Vos te das cuenta cuando sos realmente vos o cuando estás tratando de ser alguien para el otro? ¿Hay algo que te obligue a no serlo? ¿los otros que limite te ponen a vos para que vos seas vos?”. La piel le sirvió al artista como un elemento metonímico –la parte por el todo– para hablar de ese espacio donde todo sucede. La piel “son los pelos de punta –una de sus entrevistadas responde– las sensaciones, las pulsiones, el amor, la ira, la locura, el sexo, la muerte, el miedo, la piel es todo, la piel es.. sí, es todo”.
OTRO se despliega en múltiples plataformas visuales porque sólo así es capaz de dar cuenta y de representar la irrenunciable diversidad que compone a lo íntimo. En uno de los videos vemos a personas desnudas aparecer, rotar, al grupo desplegarse en una suerte de ronda flotante sobre un fondo negro; en otro, una conversación empieza y sin que termine se suma otra, y luego otra, y así sigue, mientras observamos la relativa relajación o la franca incomodidad de estxs desconocidxs desnudándose y reflexionando acerca de los límites y alcances de su propia intimidad. La negrura de esos fondos sobre los que las figuras son mostradas nos hace pensar menos en la semiótica visual de un Bil Viola que en el no-espacio y el no-lugar de las composiciones hiper conceptuales de Liliana Porter. Completan la exposición una serie de dibujos y pinturas en estrecha referencia a los videos. Dibujos de grupos reunidos como nunca lo hicieron en la realidad, representados por líneas que apenas dan cuenta de la silueta y que por momentos parecieran tocarse, rozarse, apoyarse, mirarse a los ojos: vincularse. Las marcas del pincel y la descarga de la materia sobre el soporte es la carnadura viva de las pinturas donde el grupo aparece más apretado que en los otros formatos, cerquita unxs de los otrxs y en plena acción. En todos los casos, el artista manipuló la exhibición de esos cuerpos; los usó como materia disponible para la construcción de un signo que nos cautiva, que nos invita a re-pensarnos –¿cómo habría actuado yo en esa situación? ¿qué es para mí la intimidad?– y a considerar la posibilidad de abrirnos a otros, tal como vemos que lo hicieron este grupo de extrañxs.
Mariana Rodríguez Iglesias
Buenos Aires, primavera 2020
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