La scelta del materiale crea un dialogo attraverso le figure, usufruendo della esperienza sensoriale e mistificazione comune di questi materiali come metodo espressivo nella mentalità comune.
Citando a Gombrich le caratteristiche formali dell’opera determinano e indirizzano il contenuto dell’opera.
Attraverso la visibilità del segno, della traccia degli utensili nella lavorazione, si riflette su due aspetti primordiali:
1 - La imperfezione di ognuno di noi: imperfezione segno della nostra umanità, tante volte rinnegata in nome di una perfezione inesistente, e che possiamo chiaramente rintracciare nella storia ma più principalmente in quella degli ultimi decenni attraverso le retti di contatto social media, e che, sebbene suppongano uno dei problemi sociali più ampiamente riconosciuti, rimane pericolosamente lontana da scongiurare.
2 - Il secondo aspetto sarebbe la evidenza della nostra esistenziale dipendenza: dipendenza perché, - si è visto anche durante la pandemia, ma si vede con l’avanzamento dello stato de deterioro della natura, senza che ci sia una responsabilizzazione personale - non riusciamo ad assicurarci una esistenza, siamo creature soggette alle circostanze esterne e sociali che ci hanno permesso di evolverci di una determinata forma, e a queste siamo soggetti per la continuità della nostra vita, breve e destinata ad una certa fine. Il segno di queste circostanze ci costruisce, ci limita e alla volta ci rende precisamente e personalmente unici e feriti.
Tutto questo per personificare una dimensione immateriale della donna, dell'uomo, dell’umanità dei nostri tempi.E' questa la ragione di essere delle figure antropomorfe basate sugli elementi di canone mitificati elevati alla massima potenza per poi rimetterli a queste due ultimi leggi di vita, imperfezione e dipendenza, per creare dei nuovi personaggi mitologici che ci aiutino a comprendere da più vicino la nostra identità come società globale così como una identità intima e personale. Eroi - o eroine - disposte a mostrare il risvolto più difficile, scomodo e travolgente della nostra umanità.
Tra tutte, Ysbryd è quella che brilla da una luce propria che è oltre i canoni estetici di quell'idea di bellezza legata alla temporalità, oltre all’estetica se non per usarlo come strumento comunicativo.
Ysbryd è una parte di quella nostalgia, di quell’anemoia. Quella che tende all’alto, alla ricerca dell’immaterialità.
Ysbryd raccoglie, accetta tutto in un intimo approccio con noi stessi che e mette a fuoco ciò che non riusciamo ad accettare, che nascondiamo dentro al buio più profondo, e lo illumina.
Quella luce che proviene da quella nostalgia di quel qualcosa di immateriale, di etereo e spirituale che a volte cerchiamo senza conoscere.
Perché non c’è una forma giusta e una sbagliata, non c’è nessuno nel mondo che sia più importante di un altro, non c’è una unica verità assoluta, nessuno è totalmente perso.
Perché dentro di una grande ferita c’è un grande desiderio.
E il desiderio è speranza.