La ricerca artistica di Elisabetta osserva visceralmente le grandi artiste del passato come Mary Cassat,
Louise Bourgeois, Camille Claudel fino alla delicatezza spirituale di Maria Lai, unendo la storia dell’arte ad
uno studio approfondito di autori come Carl Gustav
Jung, Ernst Gombrich e Gaston Bachelard.
L’ispirazione che queste figure del 900 hanno avuto
sul lavoro non avviene a livello puramente formale,
ma trova una vitale affinità nella tematica del passa-
to, inteso come l’elemento più fragile e determinante.
La produzione artistica si nutre di una visione gnoseologica dell’Arte.
Gli eventi traumatizzanti e con essi le emozioni vissute
ci costringono, oggi, in cupi castelli di Elsinore
ossessionandoci.
Cerchiamo di controllare in vano i ricordi per farli ta-
cere, ma la rinuncia alla vita sembra essere l’unica
weltanschauung possibile.
Osservatori in utero troviamo conferma nella ricezione di immagini violente. Nel genoma umano così si
cristallizzano reazioni chimiche trasmettitori di emozioni come la paura.
Queste epifanie assumono una funzione catartica
solo se allontanate dall’Io osservante, elevandosi ad
un destino comune.
Si possono udire, all’interno delle stratificazioni della
nostra anima, echi di voci antiche.
La paura, l’attesa amniotica, adesso, sono simili alle
emozioni di un uomo che osserva il chaos del molteplice dall’antro di pietra.
La ricerca artistica si concentra sulla capacità
delle immagini di scaturire, sebbene utilizzando un
linguaggio nuovo e singolare, delle emozioni e sensazioni archetipiche e per questo sopportabili.
Le opere parlano dell’indispensabilità di una azione di
annullamento del sé nell’istante nel quale queste brutali epifanie si manifestano, cercando di comprendere
a pieno il legame che lega il presente individuale ad
un passato psichico collettivo.
L’arte possiede un potere catartico che può essere
compreso solamente sacrificando ogni aspirazione
di autodeterminazione, un deus ex machina primitivo,
che attraverso la funzione dell’opera giunge a sedurre
o a rendere inquieto l’essere assopito nei suoi
automatismi, risvegliandoci.
Siamo in grado di espiare noi stessi, di interrogarci se
di quella torre stratificata che compone la nostra ani-
ma conosciamo tutte le stanze.
Non solo i nostri ricordi ma anche le nostre dimenticanze vengo estratte da un abisso atemporale.
Tuttavia nelle opere di Elisabetta non ci troviamo nel
mondo onirico dell’incoscio, ma siamo nelle stanze
del razionali. Come esseri illuminati, più coscienti ci
abbandoniamo all’ iineluttabilità della violenza inscritta
nel genoma umano.
Qui la coscienza si trova così in uno stato di veglia ma
allo stesso tempo lontano dal reale dove lo spirito si
distende ma l’anima è vigile, spingendoci ad una conoscenza e ad un approfondimento della nostra esistenza, siamo riportati all’origine dell’essere.