Le riflessioni della Giacco si intrecciano e continuano ad intrecciarsi, qualunque sia il punto di partenza tutto sembra, in questo stadio, manifestarsi in un intreccio di corde. La ricerca di Emanuela Giacco ha una matrice esistenzialista, corde, legami, nodi, trecce, intrecci, nulla è lineare, nulla si configura in maniera incondizionata. La Giacco pone l'accento sulla complessità dell'essere umano fatta dalla stratificazione di codici genetici, morali e culturali. Fa riferimento alla molteplice natura di tutti quei vincoli che l’essere umano sperimenta nel corso della sua esistenza, arrivando ad un discorso storico che ripercorre l’intero cammino dell’uomo, dalle sue origini ad oggi. L’individuo in divenire, l’individuo come una infinitesima parte di un Universo che si muove espandendosi, un Universo che mutando, in una dimensione spazio temporale che racchiude passato presente e futuro, lascia tracce stalattitiche del proprio cambiamento. Al caos delle matasse e degli intrecci si accosta la semplicità un singolo elemento: la cima. La cima come elemento simbolico ed espressivo che racchiude in se tutta la sua ricerca. Nell’elemento “cima” l’artista coglie infatti una moltitudine di echi: la cima risponde alla legge della spirale logaritmica una struttura onnipresente in natura dal DNA alle galassie, descrive e racchiude il “Tutto” dal microcosmo al macrocosmo; La cima, a livello puramente formale, è legata alla serie di Fibonacci che esprime il concetto di bellezza e armonia; La cima racconta delle sovrastrutture e degli intrecci dell'inconscio umano mai sciolti. La cima come simbolo dei legàmi che sono parte dell’esistenza di ogni persona. Legàmi come i vincoli individuali, ma anche come l’insieme delle sovrastrutture che portano le scelte dell'individuo ad essere continuamente ed inevitabilmente condizionate dal luogo, dal periodo storico, dalla cultura e dalla religione. Averne coscienza o meno determina il loro valore all’interno dell’esperienza di ognuno. L'intreccio di nodi come la rappresentazione “dell'Io” di ogni individuo che si ricollega al "Tutto". Ogni cosa si fonde, tutto è correlato da un legame, ma al contempo ogni filo ha la sua dimensione e grazie a questa riesce a scorgere ciò che gli è estraneo. Di qui il collegamento con l’Universo, con il Tutto, con la natura. Il teatro di vita di ogni individuo, vale a dire il nostro pianeta e la sua tutela diventano un tema centrale, così la ricerca dell’artista abbraccia anche il mondo della sostenibilità. L’elemento cima diviene così una cima di recupero. L’artista scandaglia spiagge, mari, l’artista rende partecipi del suo progetto le marinerie, i pescatori ed alcune compagnie navali così da recuperare e sottrarre al residuale tonnellate di cime nautiche. La cima si carica così di altri valori, la cima di recupero parla della storia, porta con se l’energia delle mani che l’hanno accarezzata o strattonata, porta con se la forza e la calma degli oceani che ha attraversato. La cima di recupero, parla della crisi climatica, un problema che riguarda tutti noi, riguarda ogni nostro singolo respiro. Sostenibilità diventa la parola d'ordine. “L'arte da sempre si interroga sul momento presente, racconta di cambiamenti, di rivoluzioni alle volte anticipandole. Credo che oggi l'arte non possa non parlare della crisi climatica. Credo in un progetto che risvegli le coscienze sociali. Ogni anno tonnellate di fibre tessili sintetiche vengono smaltite e nel peggiore dei casi vengono scaricate nei fondali intaccando posidonia e tutte le specie. Credo che l'arte parli attraverso le emozioni, motivo per cui il messaggio veicolato sarà sempre molto potente.” Queste le parole dell’artista. Le sculture tessili sono infatti realizzate con cime di recupero racchiudendo così la sintesi della sua ricerca, esistenzialismo, universo, natura e sostenibilità.
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Guardare il mondo
attraverso gli occhi di un bambino, tutti lo abbiamo fatto, eppure negli
anni lo abbiamo spesso dimenticato. Ci diciamo: ”è la vita, si cresce”, incontriamo ostacoli e delusioni ma la
magia non deve necessariamente essere spezzata.
Quest’opera vuole rievocare la meraviglia, la
purezza d’animo, lo stato di amore e di fiducia che il nostro essere bambino
ha. Perché c’è ancora, è ancora lì in un cantuccio, intrecciata insieme a tutte
le altre stratificazioni del nostro essere, intrappolata tra le varie
sovrastrutture culturali e sociali che ci plasmano.
Perché rievocare? Perché la nostra vita è legata
al mondo che abitiamo, alle persone che incrociamo, a quelle che perdiamo, a
quelle che non conosciamo. E' correlata al “Tutto” che ci circonda e questo
“Tutto” è fatto di energia. Allora perché non dovremmo donare ogni giorno al
mondo la nostra energia più bella?
Riuscire a guardare il mondo con gli occhi del
fanciullino significa arrivare a delle verità in modo intuitivo, liberi dal
preconcetto, liberi da paure, liberi da schemi mentali, guardando ogni cosa con
stupore, come fosse la prima volta.
E quanto stupore si può avere nell’ammirare le
meraviglie del nostro pianeta.
Guardare l’alba con le sue mille sfumature sempre
diverse, guardare un fiore con le sue nuance di colore e la sua consistenza
setosa, guardare un cucciolo che corre felice. Tutto questo è un dono e noi non
possiamo non fare nulla. Il nostro pianeta soffre, le microplastiche
mettono a repentaglio l'esistenza degli animali e dell'intero ecosistema. Il
progresso ha accelerato il consumismo, che fa parte di tutti noi. Ma lo stesso
progresso ci dà anche gli strumenti per creare energia pulita, la scienza ci dà
moltissime risposte, quello che ci manca è il rispetto, la fiducia e l’amore,
non vogliamo credere nei progetti di sostenibilità, non vogliamo metterli al
primo posto. Ecco quest’opera parla di sostenibilità, è realizzata con quasi
una tonnellata di cime nautiche di recupero per veicolare un messaggio che
risvegli le coscienze sociali: tornare
a guardare il mondo con gli occhi di un bambino per amarlo e rispettarlo perché
è il nostro paradiso.