L'opera è parte di un progetto in progress, nato con l'intento di reinterpretare e rivisitare in chiave metaforica e simbolica i contenuti della celebre Odissea. In questo caso, il riferimento in particolare è alla tela di Penelope, che tesseva e scuciva, tesseva e scuciva, per sfuggire alle pretese dei Proci, nell'attesa paziente che Ulisse tornasse a Itaca.
L'opera, in bilico tra installazione e pittura, presenta nella parte alta una tela (montata ad un telaio di forma quadrata), “decostruita”, ovvero scucita e lacerata pazientemente, tagliando, sfilando e ricucendo il filo di juta. Concepita come una tela-teca, dietro la sua trama punteggiata da tracce di differenti tonalità di blu e foglia d'oro, mostra anche il suo interno: un assemblaggio comprendente legno, carta, stoffa e pittura, che rappresenta in maniera evocativa un' imbarcazione con vela su una stampa fotografica realizzata da mia moglie, che ha ritratto un fondale marino turchese con corde, scogli e pesci. Tale elemento è traccia di un connubio artistico oltre che umano, metafora della "concordia gloriosa" che cercavano Ulisse e Penelope.
Infine, nella parte bassa dell'opera, vi è la presenza di un object trouvé in spiaggia: elemento povero cui è legata (come nell'opera ad esso è legata la tela), l'evocazione di memorie del mare, di viaggi, approdi , partenze e ritorni… L'idea del legame, dei legami, dei nodi da sciogliere, è ulteriore componente metaforica dell'opera che omaggia ad Ulisse, quale figura emblematica del viaggio esistenziale dentro e fuori da sé, alla ricerca della propria meta simboleggiata da Itaca.