Material: plexi - acciaio - cartoncino 300gr - pittura a olio su carta - inchiostro
La serie "RACCONTI FATTI A MANO" nasce con
l'intento di fondere pittura e scrittura in un unico supporto e risponde alla
esigenza di evidenziare lo stupore della manualità.
L'installazione LA PRIGIONIA DI CARTESIO (plexi - acciaio - cartoncino
300gr - pittura a olio su carta - inchiostro) contiene alcuni dipinti fatti a mano
in parte svelati dai sollevamenti della carta, in parte nascosti dalla carta
sulla quale appare il racconto scritto a mano:
LA PROFEZIA DI CARTESIO:
Se sto scrivendo, vuol dire che ci sono
riusciti.
Questa storia ha inizio dalla fine e per la
precisione dalla mia morte che avvenne il 30 novembre 2029. Incidente stradale.
Incredibile, come avevano promesso, ricordo
tutto e sono dotato di una camera dall’alto che riprende la mia massa cerebrale
collegata al supporto per l’upload della mente.
Provo ad andare con ordine.
Una serie di circostanze, non ultima un libro,
mi portarono a Phoenix in un deserto. Mezz’ora di macchina e fui davanti a un
edificio basso, in cemento. All’ingresso trovai scolpita la scritta “L’uomo è
un Dio in rovina”. Un gruppo di scienziati si era convinto che la morte fosse
una malattia debellabile, bastava fonderci con le macchine.
«E le emozioni?» obiettai.
«Non hai bisogno delle emozioni se le ignori».
L’Alcor Life Extension possedeva il primo e
più grande degli impianti di crioconservazione del mondo. Pagavi 200.000
dollari, firmavi, e appena morto ti conservavano nel magazzino dove c’erano
cilindri per la crioconservazione del corpo, o cilindri più piccoli per la
crioconservazione della testa (opportunamente separata in sala operatoria). In
questo caso spendevi 80.000 dollari.
Non ci pensai un attimo, 80.000 dollari li
avevo in tasca. Firmai, neanche sapessi che appena uscito da lì mi sarei
schiantato contro un suv guidato da un ubriaco.
Fu così che non morii.
Restai sospeso in attesa che la tecnologia
riuscisse a uplodare i miei pensieri in un supporto artificiale.
Fin da bambino mi affascinava l’idea di non
avere il corpo. Ero sempre stato brutto e con il tempo il corpo aveva
peggiorato il mio stato con dolori articolari, fitte alla testa, coliche
renali… Non avrei mai pensato che un giorno me ne sarei potuto disfare.
Pensare mi bastava.
“Penso, dunque sono” mi era sempre piaciuto.
Fui tranquillizzato quando dissero che, dopo
la separazione della testa dal corpo, il cervello non veniva rimosso dalla
scatola cranica. Restare là durante la crioconservazione garantiva un ottimo
involucro di protezione e tecnicamente asportare i tessuti di un cervello era una
seccatura. Dissero proprio così: una seccatura.
Uscii con il mio contratto in mano, una
cartellina.
Riavvolgo il nastro e mi vedo. Non pensavo
fosse così facile.
Sorrido, salgo in macchina, bum. Incidente,
morto. Escono gli addetti e uno dice che è la miglior condizione per avviare la
crioconservazione. Vedo quando mi separano la testa e la mettono nel cilindro
di azoto liquido. Sono sospeso.
E lo sono stato fino a ora. Se posso scrivere,
ci sono riusciti.
Quanto tempo c’è voluto?
Non so come, ma appena formulata la domanda mi
sono apparsi due orologi. Il primo lo
riconosco, uguale a quello dei miei tempi. Digitale.
20.33.56 – 13/05/2124
Ci sono voluti quasi cent’anni per l’upload
della mia mente. Il secondo orologio è strano. Sempre digitale.
00.00.59 – 00/00/0000. Al cinquantanovesimo
secondo non scatta il minuto, non scatta nulla. Zero.
È finito il futuro?
«Balle» sento dire.
«Balle cosa?» penso.
«L’Alcor, l’upload dei pensieri, la crioconservazione,
l’uomo che vince la morte, la macchina oltre il corpo. Balle.»
«Ma allora dove sono? Che cosa sono?»
«Esisti!»
«E tu… chi sei?»
«Dio».