Le mie opere sono Egomostri.
Un'analogia alla realtà speculativa
degli ecomostri tradotta in una chiave di lettura egoica.
Creature legate al mio ego creativo,
un'esigenza indotta dalla società della performance che mi
suggerisce di produrre oggetti che non servono a niente e a nessuno.
Sono la rappresentazione di un
duplicato della realtà che ci circonda.
La realtà del paesaggio
architettonico, del product design e dei social network.
Appartengono al tritacarne consumistico
della sovrapproduzione/consumazione dei beni, delle informazioni e
della comunicazione.
Nell'era dei social network è nata la
necessità di dover esibire o mettere in mostra momenti della nostra
vita, o pubblicare con costanza contenuti di vario genere.
Questo "lavoro" ci costringe
ad essere performanti in una compulsiva riproduzione di noi stessi.
Qualsiasi immagine con qualsiasi
contenuto fa riferimento solo al nostro Ego che è alla ricerca di
approvazione. Un consenso legato alla prestazione che rappresentiamo.
Un agire narcisista il cui fine è
l'auto appagamento e l'autoproduzione di sé.
Maggiore sarà la prestazione maggiore
sarà l'ego che conquista.
Affamati di like e di interazioni
irreali ci trasformiamo in Mostri.
Questa poetica si traduce in loop
scultorei di percorsi infiniti e privi di senso, una dispersione di
energie che l'essere umano compie alla ricerca continua di attenzione
e di consenso.
Le opere sono dunque labirinti
tridimensionali che non hanno uscita, non hanno risoluzione.
Trappole, ruote del criceto dove le
pause della corsa sono brevi e insufficienti.
I manufatti sono la performance sia in
termini geometrici sia in termini rappresentativi.
Sono i Mostri che si impegnano per
cercare la visibilità di cui hanno bisogno per esistere.
Le affinità tra forma e contenuto sono
volutamente corrispondenti e interdipendenti.
La forma diventa il contenuto. Il
contenuto diventa la forma.
L'esibizione di sé diventa il soggetto
che si autoproduce e viceversa.
Questa crisi relativa alla produzione
di immagini vuote ha una forte connessione con la progettazione
architettonica.
Gli Egomostri sono una critica nei
confronti della riqualificazione urbana e di un estetismo
contemporaneo riproducibile ovunque.
Una omologazione diffusa dove città
diverse assumono lo stesso volto, lo stesso trend parametrico e
matematico.
Costruzioni performative che generano
conflitti volumetrici, una violenza espulsiva che sostituisce la
bellezza con lo spettacolo.
Gli edifici diventano così status
symbol a cui ambire, da venerare, da fotografare e da pubblicare.
Cultura di massa. Un desiderio
architettonico indotto.
Un inganno programmato per abituarci a
contemplare miraggi di cui non abbiamo bisogno.
Pornografia architettonica.
Una riprogrammazione urbanistica mirata
alla speculazione economica.
Edifici che non servono alla persone,
icone impalpabili ma invadenti, complessi che diventano paesaggio
Ambienti inaccessibili che non
interagiscono con il contesto circostante.
Alimentano il senso di alienazione
delle città e del sistema di cui fanno parte.
Il sistema della produzione capitalista
e della performance lavorativa.
Tali osservazioni si trasformano in una
visione scultorea proiettata verso un futuro catastrofico.
Resti di abusi edilizi in miniatura,
una riproduzione di facciate mute prive di comunicazione.
Totem della cultura neoliberista.
Le mie sculture diventano delle chimere
decadenti dove la forma acquisisce valore e lo scopo si perde.
Fantasmi di cemento.
Rovine moderne, macerie brutaliste di
edifici abbandonati nel tempo.
Scenografie di mostri architettonici
impossibili, virtuosismi metafisici.
Fallimenti in piccola scala,
un'archeologia futuristica dei capricci dell'uomo.