Questo leporello costituisce il diario dettagliato del processo artistico-creativo dell'opera 45°24’24.6”N 9°16’02.3”E. Il leporello contiene tutti gli elementi relativi all’opera e alla sua realizzazione: fasi di progettazione iniziale, studio di fattibilità, bozzetto, proporzioni, concept e analisi del territorio, specifiche tecniche, sperimentazione sui materiali, documentazione del risultato finale.
Il diario è l’unica copia esistente degli appunti originali e costituisce un’esperienza di fruizione totale, oltre che l’unico modo per osservare l’opera nella sua totalità senza trovarsi sul posto o usando il satellite.
Concept di 45°24’24.6”N 9°16’02.3”E
45°24’24.6”N 9°16’02.3”E è un crossover di linguaggi e stili, un’opera concettuale site specific che intreccia poesia di strada, street art e land art. Realizzata su una superficie di 11.248 m2, è la più grande poesia pubblicata in strada mai scritta al mondo. Situata a 10 metri di altezza, sul tetto di un muro di barriera insonorizzante della ferrovia, è un’opera di per sé inaccessibile e debordante, impossibile da abbracciare in un unico sguardo per via della location e delle dimensioni gigantesche, e pertanto fruibile nella sua interezza solo in maniera derivata (attraverso le foto da satellite o dagli alti palazzi che affacciano sul muro), ma proprio per questo ancora più significativa.
Con quest’opera, che è una dedica al quartiere in cui è cresciuto, MisterCaos, porta all’estremo il gesto del debordare (caratteristica intrinseca di tutti i suoi lavori) dandogli ulteriormente senso. Infatti in una volta sola racconta, denuncia e contestualizza un luogo che non è solo un supporto per le sue parole ma diventa un elemento fondamentale e costitutivo del processo creativo.
Anche al livello di fruizione il lavoro è stratificato di significati, è infatti inaccessibile e visibile solo dalla parte di popolazione del quartiere “costretta” ad affacciarsi sul muro: la provocazione nasce dalla diffidenza ad entrare nel quartiere da parte della popolazione sandonatese, legata ad antichi pregiudizi, che ora anche volendo non può usufruire dell’opera che gli è stata donata.
Contesto
Via Di Vittorio (“la Via”, come la chiamano gli abitanti) è una strada diritta, lunga più di un chilometro, all’estrema periferia di San Donato Milanese, cittadina dell’hinterland milanese. Per la conformazione anomala e la storia unica, oltre che una periferia al cubo, può essere considerata un quartiere vero e proprio. Dritta e senza uscita, “la Via” si sviluppa lungo la direttrice nord-ovest/sud- est: l’unico punto di accesso è a nord-ovest, mentre all’estremità opposta (sud-est) vi è solo una piccola strada sterrata pedonale. Sui due lati della “Via” alti palazzi accolgono circa 9000 persone, un terzo della popolazione totale di San Donato.
Per tutto il chilometro di lunghezza solo vie laterali chiuse, nessuna reale via di uscita. A sud-ovest l’area è delimitata da una striscia di terra incolta e da alcune fabbriche, mentre a est la ferrovia divide via Di Vittorio dal resto di San Donato con un taglio netto. Questa barriera è resa ancora più invalicabile dal muro di insonorizzazione costruito intorno ai binari negli anni novanta: un muro alto all’incirca 10 metri e lungo quasi quanto tutta la Via, che si estende a ridosso dei palazzi.
Si tratta di una barriera fisica ma anche sociale, un elemento-simbolo tristemente evocativo che negli anni ha contribuito con la sua presenza a creare una situazione da quartiere – ghetto. Isolata dal resto della città, ma anche strada obbligata e senza uscita, “la Via” è diventata un luogo ideale per l’insediamento di forme di microcriminalità e degrado di vario tipo, di cui ancora oggi permane la nomea negativa.Nell’immaginario collettivo, via Di Vittorio è un luogo senza alternative, da cui si può solo sperare di scappare appena possibile.