Gli oggetti sono forme che raccontano la caducità della vita, l’effimero alla base della cultura consumistica e
della nostra stessa sopravvivenza. Queste piccole sculture sono dei moniti per chiunque ami gli oggetti, per poi buttarli e
farli ritrovare da qualcun altro o da qualcos’altro. Sulle spiagge, questi oggetti rifiutati appaiono disseminati,
come semi dai quale non nascerà nessuna pianta, non frutterà nessun frutto. Sono semi sterili,
apparentemente esauriti, che saranno sempre ritrovati nel futuro come “semi del male”, forme di
inquinamento.
Alcuni oggetti sono stati trovati sotto delle pietre, certi sotto terra, riportati in spiaggia dopo le mareggiate.
Tra la sabbia, rimangono inerti eppure vivi, ma inutilizzati. Alcuni vi restano, altri vengono portati via, altri
ancora feriscono i piedi di qualche malcapitato. Come un archeologo saturnino, l’artista vaga alla loro
ricerca.
Dopo il ritrovamento, l’artista attua un processo di lavorazione e pulizia per restituire questi piccoli gioielli
del mare nella forma più completa. Archeologo e restauratore, agisce nel massimo rispetto di questi reperti
della nostra civiltà, restituendogli la preziosità e la rilevanza che gli sono state tolte, o forse non hanno mai
avuto.
Questi elementi ci ricordano la potenza generativa e curativa della natura, sempre straordinariamente più
efficace di quella umana, sempre in equilibrio e spesso incomprensibile ai nostri occhi. In questo contesto,
l’artista non è il creatore, ma un terzo elemento posto tra azione artificiale e naturale, un mediatore che
aiuta la natura a rivendicare la sua capacità creatrice