Fotomorfosi nasce da un “errore” e da una “necessità”, ma forse sarebbe più esatto dire che entrambe le cose hanno favorito quel latente desiderio di esprimermi e del quale nella fotografia trovo la sua sintesi.
Brevemente l’antefatto. Stavo preparando una mostra in bianco e nero di foto di scena, scattate nel corso di alcuni anni, in occasione di eventi teatrali che avevo avuto l’incarico di fotografare. L’ingranditore di stampa improvvisamente cominciò a darmi problemi di focheggiatura, consentendomi soltanto brevi movimenti di distanza dal piano focale. Ero nel caos più totale, con la mostra da allestire, tutto ormai era stato organizzato, data, spazio espositivo, avevo poco più di un mese dal giorno dell’inaugurazione. Dovevo trovare una soluzione.
Notai che la colonna dell’ingranditore mi consentiva soltanto di stampare a una certa distanza un formato simile a un negativo leica 35mm. Certo, potevo sostituirlo con un altro, ma non lo feci, anzi in quel momento non pensai nemmeno di farlo.
Decisi allora di stampare su carta lith, duplicando il negativo in un positivo, inizialmente con l’intento di fare una video-proiezione.
Passai giorni e giorni in camera oscura a riprodurre sul trasparente immagini da negativo, estrapolando dettagli della scena, azioni e movimenti registrati in ripresa. Mi resi conto che stavano nascendo sotto i miei occhi altri fotogrammi, altre immagini.
Ma sono andato oltre. Dalla diapositiva cosi prodotta, dal bianco e nero originario sono arrivato al colore. Sulla nuova immagine ho aggiunto del colore a strati, incollando con lo scotch diapositive o pezzi di diapositive colorate, ottenendo “un’unica diapositiva” costituita da tante diapositive. Oggi diremmo un’unico file costruito con diversi livelli in Photoshop. E’ stato un lavoro complesso, con un lentino di ingrandimento sempre a portata di mano, poggiato sulla diapositiva che stava prendendo forma. Finito il lavoro dovevo andare in stampa e non conoscevo prima di allora quali risultati si potessero ottenere da un positivo del genere. Ho fatto fare dei provini 10x15, il risultato soddisfaceva le mie aspettative e fugava ogni dubbio. La soddisfazione maggiore è arrivata quando ho visto le immagini ingrandite su carta cibachrome, le ho viste nascere sotto i miei occhi, nel laboratorio a cui affidai il lavoro: dovevo essere presente per indicare allo stampatore il punto di messa a fuoco, in quanto il sandwich/positivo non consentiva di mettere a fuoco in automatico per via dei diversi strati di cui era costituito.
Un’esperienza davvero unica, irripetibile, entusiasmante. Da qui è nata la serie “Fotomorfosi”. I volti ripresi sulla scena non erano più gli stessi volti, erano diventati “un’altra cosa”…i volti della mia immaginazione Qualcosa era cambiato, anche in me. A distanza di anni, rivedendo quelle immagini, ripensando a quel tempo, posso dire che la fotografia, sebbene utilizzata in quella circostanza come strumento di ricerca, ha cambiato il mio modo di vedere le cose, lasciandomi spesso con delle risposte in sospeso rispetto alle domande che capita di chiedersi quando gli avvenimenti della vita ti interrogano.
Negli anni a seguire, in maniera non continuativa, ho proseguito questo tipo di lavoro, con lo stesso metodo, servendomi anche dei nuovi strumenti digitali. Certo l'approccio è stato diverso, le cose erano cambiate.
Fulvio Bernola