Nel
2021 frequentai lo studio d’arte veneziano, Oi Va Voi. L’artista
Roman Tcherpak, mi scrisse con pennino e inchiostro il ventre,
realizzando in questo modo un’opera di pittura su pelle, con
caratteri ebraici che narrano tutto il primo capitolo
dell’Ecclesiaste: La vanità delle Vanità. A completare l’opera
di pittura su corpo fu la sua compagna, Giulia Povolato, che mi
decorò schiena, gambe, braccia e nuca con dei segni fortemente
ispirati - a mio avviso - alle linee dei tratti di Hilma af Klint.
Mantenni l’opera scritta sul mio corpo per l’intera giornata,
eseguendo degli autoscatti allo specchio per poter “leggere” e
studiarne la completezza.
Essere
la pagina, attraverso la propria pelle, di una scrittura sacra e di
linee trascendenti la spiritualità, mi ha indotta ad un lungo
percorso di riflessione sull’origine culturale di una piccola parte
del mondo, quale Venezia.
Perché scegliere per me tale scrittura?
Un caso, oppure un intento? Cosa potrà mai servire scrivere in un
carattere considerato sacro sulla nudità di un corpo?
Le risposte
possono essere molteplici. Da un semplice atto artistico ad un più
profondo rimando a ciò di cui ogni corpo potrebbe essere costituito:
cultura.
Diedi
dunque vita a una performance in cui mi relazionai con lo spazio
circostante in pose differenti, realizzando degli autoscatti per
creare successivamente tutta la serie di FILTRO_VENEZIA
ADDENTRO, e, per ciascuna opera estrapolai un passo dal capito primo
dell'Ecclesiaste.
Per
l'opera qui presentata, il passo 7:
Tutti i fiumi portano al mare
eppure
il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro meta, i fiumi
riprendono la loro marcia.
Ecclesiaste 1 – 7