OSTRAKON / LA SECONDA VITA - Azione irreversibile su una scultura
performance di Giulietta Gheller e Alice Toccacieli, scultura di Giulietta Gheller
Ostrakon è il vocabolo greco che indica i pezzi di coccio usati nell'Atene classica per indicare il nome della persona ritenuta pericolosa per la comunità.
L'opera nasce dalla collaborazione con Alice Toccacieli, regista e performer, da anni aiuto regia di Armando Punzo (Compagnia della Fortezza di Volterra), quest'anno Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia.
La Performance è durata otto giorni e si è svolta nel cortile del Museo dell'Architettura di Fermignano (PU) che fino pochi decenni fa era un mattatoio.
Qui è stata portata la statua, in terracotta, di Ostrakon: una figura femminile stante, nuda, in piedi, di fattezze quasi androgine. Questa statua è stata infranta e quindi ricostruita a una seconda vita.
Il primo giorno Alice Toccacieli ha svolto la prima parte della performance, la pars destruens, che abbiamo chiamato “SOLVE” (dissolvi) contrapposta alla seconda, svolta da Giulietta Gheller e nominata “Et coagula” (e componi), seguendo il detto alchemico: “Solve et Coagula”.
Alice ha svolto una performance che mostrava in forme astratte lo sforzo di mettersi variamente in rapporto con la statua, nel tentativo di conoscerla, come fosse una figura vera e animata e di instaurare con essa una relazione. All'apice di questa evidente impossibilità la performer ha cullato la statua fino a perdere il controllo del suo peso e la scultura è stata lasciata cadere a terra e frantumarsi in innumerevoli frammenti.
Ci interessava la provocazione di infrangere una scultura, rompendo l'llusione di durata che questa, tra tutte le forme d'arte, veicola maggiormente. La scultura ha tradizionalmente resistito meglio al passare del tempo e detiene quindi in maniera del tutto erronea e arbitraria un'idea della stabilità.
Volevamo offendere questa illusione di permanenza e l'affezione che ci lega ad essa come ad un valore di altezza indiscutibile, assoluto.
In secondo luogo, eravamo convinte che l'atto della rottura fosse il modo per stare in una situazione autentica di Imponderabilità uscendo dalla mimesi e promuovendo uno scatto di linguaggio: non avremmo rappresentato l'imponderabilità, l'avremmo praticata. Era infatti impossibile sapere in che modo si sarebbe rotta, quanti i pezzi (gli ostraka) che avremmo avuto a disposizione e in quali condizioni si sarebbero offerti. Volevamo rinunciare in modo costitutivo a qualsiasi forma di prevedibiltà nella realizzazione della fase successiva.
Giulietta Gheller ha quindi intrapreso la seconda parte della Performance che si è svolta in gran parte a porte aperte, lavorando al riassemblamento dei pezzi per cercare di formulare una seconda statua, in tutto simile alla prima e derivante dai suoi pezzi, nel rispetto della sua forma, ma nell'idea che non si dovesse compiere un restauro. “Coagula” infatti non significa “ri-componi” ma “componi” in termini originari, nel senso di lavorare ad una fondazione iniziale. Ciò che si rompe, nell'esperienza del trauma, non può essere ricondotto a una condizione di completa sanità pre-traumatica; nell'urto che scandisce i nostri vissuti, la rimozione della ferita produce solo illusioni che sono forieri di altro disfacimento, la fragilità non può essere negata, ma compresa. Solamente la pratica della cura e di una lenta e progressiva riaggregazione delle parti sopravvissute può effettivamente restituire una seconda vita.
La prospettiva performativa si è marcata anche nell'incollare i frammenti: nell'istintività della scelta tra quanto veniva riposizionato con una sorta di docilità propria e i pezzi che invece venivano per le più svariate ragioni rifiutati al collocamento. Il risultato è stato una nuova statua, tutta presente alle proprie visibili incrinature, fratture e lacune.