Mi chiamo Luca Mariani e sono un artista.
Nello specifico mi occupo di danza come insegnante,
coreografo e ballerino. A seguito della stretta che questo mondo ha subito, il
mio istinto ha voluto esprimersi con maggior forza, piantando delle nuove
radici. Ho dato vita ad una nuova speranza, intrisa di una intensa luce che mi
ha portato a “7 LIVE(S)”. Questo progetto prende vita dal rapporto con la cruda
realtà che siamo costretti a vivere: l’emergenza relativa al COVID19. Si tratta
della volontà di colmare il vuoto che si instaura dentro ogni essere umano
costretto all’isolamento; una risposta artistica alle incertezze che il
lockdown si trascina con sé.
La finalità è la rappresentazione di una intera giornata,
che parte con il risveglio, continua con l’ossessione della nostra immagine
riflessa allo specchio e arriva a considerare la sedentarietà, la pigrizia, lo
smart-working e le faccende domestiche. La giornata si conclude con l’analisi
delle ore notturne, nelle quali la malinconia e la tristezza si intrecciano
infettando la nostra zona erotica.
Per realizzare questo progetto ho contattato 7 amici,
diversi tra loro, accomunati dalla voglia di esprimersi; e insieme siamo
arrivati a “7 LIVE(S)”.
Ho coreografato e studiato nel dettaglio le singole parti
che compongono il video, lasciando spazio alla creatività di ognuno di loro. Di
base vi è una contaminazione tra mimica, teatro, danza moderna e Urban Style.
Ciò ha dato modo a ciascuna personalità di emergere, conferendo al progetto
l’originalità sperata. Le movenze sono ispirate al cinema muto, che focalizza
l’attenzione sulla gestualità.
Un altro aspetto che ho considerato è l’outfit. Ciascun ballerino
è interamente ricoperto scegliendo un
solo tipo di materiale/indumento. Questa scelta è condizionata da due fattori
fondamentali: l’idea del riciclo e del minimalismo. Allo stesso tempo ricoprire
il proprio corpo di un solo tessuto ha un forte impatto comunicativo. Durante
il risveglio ho voluto utilizzare la lana, sottolineando il senso di
oppressione e di soffocamento. Per quanto riguarda lo specchio invece, il
costume è interamente realizzato da biancheria intima: l’idea è quella di
contrapporre un mood di consapevolezza positivo ad un senso di disgusto creato
dalla carenza economica.
L’idea del jeans, utilizzata per i costumi della scena che
rappresenta lo smart-working, rimanda ad una generazione focalizzata
sull’aspetto materiale e superfluo; si tratta di una ricchezza che in momenti
di raccoglimento emotivo come l’isolamento diventa futile e ci schiaccia.
La parte successiva, nella quale l’oggetto che prende la
scena è il divano, è piena di reggiseni, dando l’idea di abbondanza, di grasso
in eccesso e di sedentarietà. Si vede, da un lato, la volontà di reagire che è
subito smorzata dalla mancanza di stimoli esterni.
Per quanto riguarda i lavori domestici, che ho enfatizzato
tramite l’utilizzo di uno stendi-panni, il ballerino indossa un insieme di
stracci legati tra di loro, conferendo senso di accumulo e di stanchezza.
Questo mood è spesso dovuto al fatto che la solitudine ci distrae.
L’oggetto successivo è la sedia, che diventa protagonista di
una scena carica di paranoie. La ballerina è vestita interamente di camicie, a
mo’ di “camicia di forza”, rappresentando l’eccesivo riflettere e l’incapacità
di evadere da una situazione che ci rende folli.
Le ore notturne emergono grazie all’utilizzo dello stipite
della porta, visto come passaggio e come intreccio tra rassegnazione ed
eccitazione. Ho voluto coprire
interamente la ballerina di collant, enfatizzando la sensualità della scena. Il
continuo giocare con lo stipite arriva allo spettatore come un dualismo
mentale, la ricerca continua di apparire e il bisogno primordiale di essere.
La scelta della musica non è casuale. Ho ricercato una
traccia che potesse funzionare musicalmente e che allo stesso tempo permettesse
allo spettatore l’ingresso in questo mondo pieno di emozioni, di solitudine, di
abbandono, di oppressione, di stanchezza mentale e di delusione.
Questa performance è stata realizzata con mezzi semplici:
ciascun ballerino ha utilizzato un cellulare e la pazienza di un convivente
disposto a filmare. La coordinazione dell’insieme, invece, è stata gestita con
degli incontri virtuali, tramite i quali è stato possibile trasmettere a tutti
la mia visione di partenza, costruire e seguire i progressi coreografici ed
emozionali di ogni singolo performer e studiare gli outfit.
Nonostante ciò, il progetto nasce con l’idea di essere
portato in scena.
La sua installazione è pensata come un cerchio, con una
struttura ad orologio delimitato da un perimetro abbastanza spazioso da poter
contenere gli oggetti protagonisti della nostra performance. Ogni oggetto
rappresenta una fascia oraria di una giornata che inizia e culmina esattamente
come tutte le altre. Per questo motivo il tempo è raffigurato, al centro del
cerchio, dal sole e dalla luna.
La circonferenza esterna rappresenta la nostra casa, ciò che
ci divide dal mondo esterno e che può sia proteggerci che farci del male.
Il mio progetto vuole essere allo stesso tempo una
testimonianza della negatività della situazione e un’ancora di salvezza per
tutti coloro la cui essenza è intrisa di arte. La condizione in cui ci troviamo
è surreale, non esiste più lo scorrere del tempo e non abbiamo relazioni che ci
permettono il confronto.
Questo momento storico però, può essere visto in chiave
diversa. L’idea di isolamento può esserci utile nel capire noi stessi e nel
leggere le nostre anime. Si può arrivare, attraverso un’attenta analisi di sé,
ad una maggiore consapevolezza. Esiste la possibilità di trasformare questo
dolore in una crescita. Vedere questa gabbia come uno stabile punto di
partenza, una nuova luce.