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Racconto ispirato al quadro
QUEL CHE DI ANGELICA RESTA
“Entrate, la porta è aperta!”. Lo scandì bene, con tono deciso, anche se con voce impercettibilmente tremante. Saranno loro? Pensò tra sé e sé...ma quando le due forestiere si annunciarono timidamente non ebbe più dubbio alcuno: erano le cugine Ibraima e Vassilia.
Ci siamo. É arrivato il momento per il quale mi sono tanto preparata. Sono pronta ad affrontarle.
Ce la farò!...Ce la farò?
Non mi ricordo niente, nella mia testa una densa coltre grigia.
“Angelica cara, quanto tempo! Anche se le circostanze non sono le migliori l'importante è che ci siamo ritrovate! Sono passati vent'anni ma per noi è come se fosse ieri; noi tre che giocavamo sulla spiaggia a “un - do' - tre - campanòn!”
Segue un lungo, imbarazzante silenzio. Angelica parla alla sua materia grigia: ”dannazione concentrati, ricorda! ”Chi sarà delle due questa, chi ha parlato? Ibraima o Vassilia?... Eppure sembrava tutto molto più semplice prima di...”Tesoro, come va, ti fa tanto male?” La voce è simile (per forza, sono sorelle!) ma più impastata. Più insicura.
“Ma certo, questa deve essere la più grande, Ibraima, quella che per prima ha dovuto affrontare il mondo, spianando la strada alla sorella minore che se ne va' in giro mostrando irriverente la sua sicumera”. I ricordi affiorano, finalmente. Il ragionamento inizia a filare.
Angelica, sino ad allora rimasta silente, si solleva a fatica dalla poltrona evidenziando movenze inoperose e un fisico cagionevole. Protende le lunghe braccia in cerca di un appoggio che le viene offerto senza alcuna titubanza dalle sorelle.
“Cugine mie adorate, che gioia immensa avervi qui” esordisce la giovane.
Silenzio.
Di nuovo.
Eppoi singhiozzi, lacrime (forse), è difficile distinguerle da sotto le bende.
“Ci devi perdonare di non esserti state vicine in questi anni...”
Mentre ascoltava i lamenti strazianti delle parenti venute in visita, Angelica si concentrava altresì nel confermare le identità affibbiate alle due donne. Questa DOVEVA essere per forza Vassilia. L'autrice di questo coraggioso e salvifico intervento era sicuramente lei. Ibraima non ne aveva forza né capacità. E ancora Vassilia “La notizia della tua malattia ci ha scosse molto, non puoi immaginare quanto, eppoi quest'epilogo drammatico e inimmaginabile...”
Vassilia cara, dialoga ancora Angelica tra le fasciature e sé stessa. Sei tu quella che non può immaginare quanto in realtà io sappia esattamente perché siete così turbate. Perché siete qui.
Le due donne si dimostrano sinceramente angustiate e distrutte dal dolore.
Angelica rimane ad ascoltarle cercando di parlare il meno possibile, cosa che ritiene essere la scelta più appropriata.
“Sai Angelica”, quando abbiamo saputo che ti eri ammalata di quel male orribile, desideravamo tanto venire a trovarti” prosegue l'anello forte incoraggiato da un ampio movimento della testa, dal basso all'alto, eseguito dall'anello debole. “Non riuscivamo a trovare le parole per spiegarti cosa ci succedeva, ci dispiace tantissimo. Ma quando abbiamo saputo che avevi perso anche i genitori d'infarto (poveri cari) abbiamo deciso di venire. Di venire a spiegarti”.
Anche se Angelica ben conosceva il cruccio delle congiunte le lasciò proseguire.
“Devi sapere” prosegue la secondogenita “che i nostri giochi in riva al mare, d'estate, non erano poi così spensierati... praticamente nessuno è al corrente di ciò che stiamo per dirti perché tutt'ora questo fatto rappresenta per noi, così come è stato per i nostri defunti genitori, motivo di enorme afflizione.
Questa stessa sofferenza, mia cara, ha portato al precoce spegnimento della fiammella vitale prima di mamma, seguita a breve distanza da papà.
Avevamo una sorella, Tìmonia, malata da anni. A lei come a te era stato diagnosticato un meningioma cerebrale, ma la massa tumorale era talmente vasta e vascolarizzata da risultare inoperabile.
Tìmonia si è spenta all'età di otto anni. Momento in cui i miei genitori hanno deciso di vendere la casa al mare e segregarsi in città fino alla loro morte avvenuta pochi anni dopo.
Né allora né mai abbiamo parlato di nostra sorella, rispettando il volere dei nostri amati padre e madre. E da allora non ci siamo più viste, Angelica.”
In un inatteso impeto di audacia, Ibraima interviene.
“Ora capisci perché siamo sparite? Siamo consapevoli del dolore che ti abbiamo provocato e ce ne siamo rammaricate ogni giorno della nostra vita. Ma quello che ti è successo è stata una spinta troppo forte e siamo dovute venire qui per vedere come avevi superato l'operazione, cara cugina.”
A quel punto le tre si strinsero in un prolungato ma cedevole abbraccio.
“Sto bene, non ho più nemmeno bisogno di assistenza. Ogni tanto viene l'infermiera a controllarmi, ma come vedete sono tornata a vivere da sola; buon segno, no?” Sancì quell'unico tratto di viso lasciato scoperto dai bendaggi. “Mi sento un po' debole ma mi sono sollevata da un pensiero greve quanto un enorme cumulo di asfalto.” Sentenziò la convalescente.
Angelica attende. Attende QUELLE parole.
“Tu sai che i nostri genitori erano benestanti. O forse è più congruente dire ricchi” esordì nuovamente la minore delle sorelle. “Quelle due persone straordinarie avevano destinato un'ingente somma di denaro per un'operazione chirurgica che avrebbe potuto salvare Tìmonia. Eravamo tutti pronti per partire per gli USA. Pensa, l'avrebbe operata il prof. Alessandro Olivi in persona!
Ma la vita ha scelto ancora una volta un amaro destino per la nostra amata Tìmonia che ci ha lasciati sei giorni prima della partenza. Noi abbiamo preservato quel patrimonio intatto sino a ora perché non abbiamo trovato un motivo sufficientemente valido per spenderlo.”
Segue un'altra inconsumabile pausa.
Vassilia volge uno sguardo complice verso la sorella che lo ricambia amorevolmente.
“Quel motivo valido sei tu, Angelica”.
Le generose sorelle non potevano che intravedere le fattezze di quella giovane donna che un tempo era stata una bellissima bambina dai lunghi capelli castano chiari sempre lasciati liberi di svolazzare increspati da vento e salso. Erano molto curiose di scoprire che donna era diventata e di paragonarla ai ricordi che loro avevano di Angelica.
Mossa da genuino desiderio di conoscere e scoprire la donna a cui stavano donando soldi e cuore, l'irriverente Vassilia, nel guardarsi in giro, posò l'attento sguardo su di una teca che custodiva, evidentemente, ricordi importanti della vita della cugina.
Vassilia quasi rovesciò la sedia a terra nel sollevarsi di scatto portandosi le mani di fronte a quell'immenso ovale cavo dal quale non riusciva a far uscire nemmeno una vocale. L'emozione era così forte che le lacrime sgorgarono a fiotti. Questa volta Angelica le vide chiaramente.
“Mioddio, ce l'hai ancora! Lo hai conservato per ben vent'anni, allora anche tu non ci hai mai dimenticate Angelica cara! In fondo l'ho sempre saputo.
Ti prego fatti fare una foto col nostro presente tra le mani. Sarebbe per noi un dono grandissimo. Vai Angelica, su ti prego fallo per noi”.
La teca custodiva trentasette cimeli disposti su tre livelli.
Angelica, fingendo motivate indolenti movenze, si sollevò dalla postazione familiare per immergersi nell'oblio di ricordi inesistenti. Si arrovellava per rimembrare, ma più cercava di farlo più sprofondava in una condizione di angoscia punitiva. Allora si costrinse a congetturare.
Gli oggetti erano divisi in tre sezioni, c'era un motivo? Se si quale? La malata si obbligò a osservare lo scrigno dei non-ricordi con più attenzione e si accorse che un ordine, in fondo, sembrava esserci. Quelli più in basso sembravano più nuovi, meno rovinati dal sole che, giorno per giorno, ne aggredisce la superficie sbiadendone i colori. Ma non ne era sicura. Poteva essere la sfortunata conseguenza di una posizione più favorevole alle aggressioni atmosferiche. Poi notò che anche lo stile sembrava più contemporaneo, così come i materiali. Ed eccola lì. Quel simbolo di salvezza e di rinascita sarebbe stato anche il suo salvacondotto. La Freedom Tower. Non ricordo l'anno esatto della costruzione, ma di sicuro dopo il tragico 2001.
Ce lo ricordiamo tutti meglio del nostro compleanno!
Dunque questo ripiano sembrerebbe essere dedicato ai souvenir più recenti.
Se Vassilia ha detto che il prezioso è stato serbato per ben due decenni significa che, probabilmente, si trova nella parte alta della teca. Angelica, forte di questa preziosa deduzione, muove altri passi verso la meta. Ma ci sono 13 oggetti alloggiati nel primo ripiano e sotto le bende gli ingranaggi lavorano incessantemente per ricordare, per arguire. Bambole russe, grilli cinesi, un mulino a vento, lo zio Sam (forse il mancato viaggio in America?), orribili papere dai colori sgargianti.
Vuoto, vuoto assoluto nella mente.
Devi pensare Angelica, fare un ultimo, pantagruelico sforzo.
Di dove sono le gemelle?
Dal momento che la memoria del passato non l'assisteva, l'immemore fanciulla ripercorse l'intera conversazione con le cugine nel silenzio dei suoi instabili umori...”noi tre che giocavamo sulla spiaggia a “un - do' - tre – campanòn!”. Ma certo, esultò muta Angelica.
Sono venete!
E cominciò a ispezionare nuovamente i gingilli.
L'occhio attento di Angelica si placò dal girovagare quando vide una coppia di gondole con tanto di rematore con cappello e maglia e righe, immortalato nell'atto di cantare al timone della sua gondola. Mentre col petto irrorato di giubilo Angelica si avvicinava al momento del trionfo, in quel preciso istante, mise a fuoco le persone con lei in quella stanza.
Vassilia e Ibraima.
L'una laureata in storia dell'arte, l'altra archeologa, figlie di stimati professori di astronomia.
No Angelica, non può essere questo il loro dono. Troppo pronosticabile, troppo poco chic.
Fingendo un comprensibile capogiro, la donna frenò la sua corsa, scandagliando attentamente gli oggetti rimasti.
Ragni enormi e pelosi (che cattivo gusto) di sicura provenienza esotica, zoccoli la cui derivazione era non solo scontata quanto perfettamente catalogabile, una specie di torre di Pisa ma dritta (?), una coppia di cosacchi e varie altre cose talmente poco raffinate da non essere nemmeno prese in considerazione. Ma è qui, è per forza tra questi!!
Forse ho equivocato qualcosa, forse non ho capito!
L'occhio si posa nuovamente su quell'insolita costruzione che sembra molto la torre di Pisa ma a ben vedere non lo è. L'ho già vista altrove o mi sto confondendo?
Altri incerti, sofferti passi di Angelica.
Nobiltà, storia dell'arte...astronomia...Venezia!
Come ho fatto a non ricordarlo prima (maledetta testa), è la scala Contarini del Bovolo! Spettacolare edificio veneziano lontano dalle enormi piazze pullulanti di turisti che sorprende l'incredulo visitatore all'uscita di quel buio e poco signorile vicolo.
Palazzo voluto da Pietro Contarini e utilizzato dall’astronomo tedesco Tempel per condurre le sue osservazioni col telescopio.
Abbandonate le incertezze, Angelica afferra debolmente ma altrettanto risoluta la statuetta e nel farlo rivolge uno sguardo vittorioso verso le sorelle in trepidante attesa.
Forse è un bene che non possano vederlo. Forse capirebbero.
Quando il trio placa i suoi rumorosi festeggiamenti si ode chiaramente un tonfo provenire da qualche parte, in qualche stanza fino ad allora insussistente.
“Che cosa è stato, Angelica?” E ancora “ma non hai detto di vivere sola?”
Era veramente una fortuna che non si potesse scorgere quell'espressione d'incredulità mista a rabbia sotto le bende dell'interrogata. Se così fosse stato, forse si sarebbe arguito che non poteva crederci, non poteva nemmeno immaginare che LEI si fosse alzata.
Non era una situazione contemplabile.
In altre parole non era possibile.
Eppure QUELLA, in qualche modo, si era alzata. E ora l'avrebbe messa sicuramente nei guai.
“Dovete scusarmi mie amate cugine se vi ho celato la verità, ma il mio unico intento era quello di non ferirvi ulteriormente. Sapere che nell'altra stanza trova riparo una giovane donna il cui medesimo male (il mio male) è stato estirpato con non meno dovizia da parte dei medici, ma non con altrettanti fortunati esiti, ne sono certa, avrebbe turbato ancora di più i vostri animi delicati e sensibili”.
“Cassandra, questo il suo nome, ha riportato gravi danni al cervello in seguito all'operazione. L'uso della parola le è stato precluso e le movenze sembravano interdette.
Sino a oggi. Pare.
Ci siamo conosciute all'ospedale, operate lo stesso giorno. Cassandra è sola e, dal momento che le sue condizioni non le permettevano una vita autonoma e dignitosa, me ne sono presa carico io”.
Le cugine, commosse insistettero al punto tale per vederla che Angelica non poté far altro che accondiscendere.
Le condusse nella stanza da dove provenivano i lamenti. La poverina riversava a terra su di un fianco, nell'evidente tentativo di trascinarsi verso il salotto dove il trio celebrava la reunion.
Un'ampia bendatura, simile a quella di Angelica, trovava collocazione sulla testa della giovane donna lasciando scoperte labbra desiderose di parlare, ma incapaci di farlo.
Cassandra grugniva e si dimenava con quanto fiato aveva in corpo e questo rendeva terribilmente irrequieta la padrona di casa. Angelica, visibilmente incomoda nelle vesti di spettatrice, mise pertanto fine a quell'infausto protrarsi di suoni e movenze indecifrabili accompagnando le parenti fuori dalla stanza, fuori dalla casa, seguendo il giusto protocollo dei congedi, cercando di non farne trasparire l'effettiva impazienza.
“Che cosa pensavi di fare?”. Angelica alla mummia.
“Sei proprio un'ingenua, Cassandra!”. La mummia si agita.
“Davvero credevi che quelle due beate anime avrebbero capito?”. Nessuna replica.
“Davvero pensavi che TU avresti fatto la differenza, cambiato il corso del nostro destino?”
“E come avresti potuto farlo se di te non è rimasto niente, Cassandra?!”. La mummia non sta più nelle bende.
“Cassandra, Cassandra,Cassandra”, urla Angelica a squarcia gola mentre l'interlocutrice, se così la si può definire, è in preda agli spasmi.
“Cassandra, nomen omen”.
“Vedi, Cassandra, l'unico motivo per cui sei qui, Cassandra, è che dividendo quella stanza in ospedale mi ha subito nauseato, anzi disgustato la tua purezza. I racconti della tua famiglia mi annoiavano a morte, la tua rettitudine mi stomacava. Odiavo tutto di te perché rappresentavi tutto ciò che non avevo mai potuto avere, non ero mai riuscita a essere. Il mio tumore me l'ero guadagnato, cresciuto, alimentato con droghe e autolesionismo, mentre tu, Cassandra, tu avevi condotto una vita perfetta, eppure aveva colpito anche te. Che sfiga.
Ma tue eri sicura che saresti uscita con le tue gambe da quel nosocomio e che quest'esperienza ti avrebbe resa più forte, l'avresti accettata e ne avresti, alla fine, tratto beneficio”.
Mai convinzione era così distante dalla realtà.
Angelica parla e intanto gira oziosamente per la stanza. E poi dice: “dopo una vita letteralmente sprecata, ho pensato che, forse, il nostro incontro era un segno del destino e che, per una volta, avrei dovuto ascoltarlo, prendere esempio da te. Avrei salvato la mia anima, forse.
E così ho fatto”.
“Ti ho studiata, ho cercato del tuo passato. Sono arrivata a sapere di Angelica più di quel che Angelica sapeva di sé.
Ho seguito le tue orme pe-disse-qua-men-te!
Mi sono addentrata a tal punto dentro di te che sono diventata te, Cassandra! Nomen omen!”
La mummia ormai è sfinita. Solo lacrime tra le bende, solo asprezza nella bocca.
“Vedi, Cassandra, la sorte ha ripagato i miei sforzi e ora ho la vita che volevo, ora io sono te.
E tu sei me, Cassandra”.
Dunque Cassandra, chi piangerà la morte per overdose di una drogata, bugiarda, ladra come te (nomen omen)? Ma non temere, la tua generosa amica Angelica, l'angelo Angelica, penserà a tutto. Penserà a una dignitosa cerimonia funeraria a cui non parteciperà NESSUNO.
Mentre Angelica (Cassandra) iniettava con fare esperto la dose del sonno eterno all'amica Cassandra (Angelica), Vassilia colloquiava amabilmente con la sorella sulla via del ritorno facendole notare quanto la cugina somigliasse a quella povera, calamitosa fanciulla dall'aria vagamente familiare.