“Ponos è oggi il dolore dopo l'estrema fatica di colui, di colei, che si sforza per riparare immediatamente la perdita con la sua fatica, il suo sangue, le sue mani […] che reggono il pensiero, nel desiderio di soffrire come e con i suoi” (Fdz. Cao, 2011, p.46).La pelle ci svela e ci nasconde, costruisce da e verso dentro, la linea sottile che raccoglie e riconosce ciò che, finalmente e al insieme, capiamo di essere o che altri capiscono di noi.Quanto avrei voluto cambiare qualcosa quel 28 ottobre del 2014 quando, 19 giorni dopo la craniotomia di ritaglio, mia madre subì un ictus ischemico che paralizzò metà del suo corpo e del suo essere. Aveva 53 anni e dall'interno cambiò in un batter d'occhio cosa fosse "fuori". Dall'interno verso l'esterno deviarono le linee della sua bocca, dei suoi occhi, della sua voce, delle sue ossa e di tutta la sua pelle, insieme a ciò che questa nascondeva essere.L'arte ci aiuta ad oggettivare ciò che non è stato, ma poteva essere, o viceversa, ciò che è stato, ma non è potuto essere. Traduce il dolore a piacere. Aiuta a fantasticare, a ripetere una e un’altra volta fino alla saturazione quello che vorremmo fosse accaduto. Restituisce il passato al presente e con i suoi strumenti lo mette tra le tue mani per offrirti la possibilità di tracciare le tue proprie direzioni, in questo caso la direzione voluta e non raggiunta in quell'intervento. “Il simbolo diventa uno spazio vitale al di fuori del corpo” (Fdz. Cao, 2011, p.74), ed è questo che riesce ad alleviare il mio incubo costante, ma non più permanente.