PAROLE
Le parole sono il nostro principale strumento di comunicazione. O almeno, così sembra. Sono anche una
fonte di malintesi, come scriveva Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo Principe, a cui la volpe indica come
guadagnarsi la sua fiducia, dicendo: “tu ti siederai un po’ lontano da me. Io ti guarderò con la coda
dell'occhio e tu non dirai nulla …Ma ogni giorno potrai sederti un po’ più vicino” Il linguaggio del corpo, più
potente delle parole. Eppure, nei rapporti umani le parole sono importanti. “Chi parla male, pensa male.
Chi pensa male, vive male” diceva Nanni Moretti, e non se ne è accorto solo lui. Trovare le parole giuste è
necessario e spesso difficile. Ancora più spesso, quotidianamente, vengono raccolte in formule
preconfezionate, come passpartout di convivenza da usare in automatico. Domande di cui neanche si
ascolta la risposta: “Come stai?”, “hai mangiato?”. A volte sono così efficaci da sintonizzarci sulle frequenze
altrui, permettendoci di far passare emozioni e sentimenti, in qualsiasi lingua. “Vorrei poterti dire cosa
sento” si intravede in una delle scritte in inglese (la lingua universale, scelta per convenzione) sullo sfondo
dell’opera. Potrebbero essercene molte altre, che compaiono qua e là, raccolte in quelle formule
preconfezionate o assemblate in un tentativo spontaneo di sapere o comunicare qualcosa. Ed ecco che,
improvvisa - immaginiamo in un qualsiasi attimo di vita vissuta, di contatto stabilito, di progetto avviato -
una macchia nera imbratta il foglio. Copre, interrompe e confonde tutto. Il senso che si vuole trasmettere è
il non senso che sembra risiedere nelle cose che accadono, nella vita che -come disse John Lennon “è quello
che ti succede mentre sei occupato a fare altri progetti”. La vita, apparentemente uguale per tutti e
percepita da ognuno in modo diverso, tanto che diventa impossibile comprendersi davvero, soprattutto
con le parole. Lo esprimevano i sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello : “E come possiamo
intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me;
mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo
com'egli l'ha dentro?” E’ il dramma della comunicazione di contenuti che non si possono inquadrare nella
convenzione del parlato. Di una solitudine alla quale non c’è rimedio. E che si traduce, anche visivamente,
nel contrasto tra il bianco e il nero, tra la luce e il buio che troviamo dentro e fuori di noi.