“Il Disturbo era intorno a
loro. Negli altri. Dentro di loro. Suoni rivestiti di parole esili ed
intense, talvolta prepotenti. Lamenti di estrema bellezza e delicatezza,
incantevoli per uno stato d’animo sensibile ma tuttavia orribilmente
laceranti. Il loro era un disagio disadattivo e deviante. Era una
sofferenza emotiva. E nei confini soggettivi, condizionati
dall’evoluzione e dalla riflessione delle pressioni ambientali,
dall’intolleranza della società rispetto ai loro comportamenti, si
sentivano ai margini della collettività. Ma erano davvero malati? Anime
fragili assorbite da momenti assordanti? O semplicemente persone che
nella loro stranezza rinchiudevano la loro unicità?
Ogni attimo si
forma, finisce, scompare, si ricompone in un istante nuovo che si fa,
che si forma e si piega e si collega al segmento che si annuncia. E
proprio qui, nell’imprevisto d’una infinita perfezione caotica, essi
toglievano il disturbo. Non agli altri. Da loro stessi.”