*VEDI INTRODUZIONE NELLA DESCRIZIONE DELLA PRIMA OPER
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Questo è il racconto ispirato al quadro
IO VENGO DAL FANGO, IO VIVO AL FUERA
- MA CHE DIAVOLO
É QUESTA POLTIGLIA??
- Signore questo è
il suo... (spiegazione interrotta da altri stridii)
-
GIOVANOTTO, MA LEI VORRA' SCHERZARE, IO NON HO PAGATO 500 EURO PER
QUESTO дерьмо, LO
PORTI SUBITO VIA PRIMA CHE CHIAMI I CARABINIERI.
Il maître non se lo fece ripetere due volte e fece immediatamente
sparire la ripudiata pietanza dal tavolo del cliente perplesso.
Insoddisfatto.
Incazzato nero.
Victor percorse il lungo corridoio che separava la sala da cena alla
cucina con la bile inesplosa in gola. Lasciare la pizzeria per uno
stipendio poco più alto e assistere quotidianamente a episodi così
ignobili gli aveva fatto rimpiangere i suoi trascorsi sereni, quando
non doveva compromettere la sua coscienza al punto di doverla
ignorare.
Lo vedeva solo con la coda dell'occhio perché si rifiutava di
guardarlo apertamente, per sentirsi meno complice. Ma era solo
un'illusione, i flebili battiti li sentiva ancora, forse amplificati
dal vassoio (o dal suo senso di colpa).
Entrò in cucina e lo appoggiò, o meglio, lo sbatté sul bancone in
acciaio che in quel momento gli parve una sala operatoria.
Di fatto lo era. Lì, sul tavolo della sala operatoria Miss Pool
aveva appoggiato il corpo di quel povero Daino intorpidito dagli
anestetizzanti. Lì, sul tavolo della sala operatoria era accorso
Ignazio, esortato dalla stessa Miss Pool, autrice dell'audace
cattura, e aveva praticato l'incisione mentre ancora la bestia era
viva e si dimenava. Si, perché i russi lo vogliono esclusivamente
così: caldo, purpureo e fumante, la conditio sine qua non era che il
cuore arrivasse in tavola ancora pulsante. Era chiaro che, affinché
tale circostanza si verificasse, dall'estrazione dell'organo alla
collocazione dello stesso sotto le fauci del pretenzioso cliente
dovesse trascorrere al massimo uno starnuto di cicala.
Così non era stato, lo sapeva bene Victor che, durante la camminata
verso la stanza dei commensali, aveva letteralmente soffocato le
tormentate palpitazioni del muscolo e, insieme a esso, aveva
soffocato anche rabbia e frustrazione. Quel muscolo era arrivato
quasi completamente rigido, quasi completamente freddo.
Victor questa volta non ce l'aveva fatta, non era riuscito a servire
l'ennesimo omicidio a quei fecondi ottusi, pieni solo di una grande
vuoto.
Ora doveva dirlo alla grandissima cacciatrice, ristoratrice,
truffatrice e assassina. Miss Pool.
Ma dal modo in cui il soggetto in questione scagliò i suoi effetti
personali contro l'uscita di emergenza, il perspicace Victor arguì
che non ve ne fosse necessità alcuna.
Quando l'ormai ex cameriere del Ristorante “Cuore, pepe rosa &
corna” si ritrovò, suo malgrado (o forse no) nel retro del locale,
si sentì colpire alle spalle da qualcosa di viscido e inerte.
Fulminea fu la reazione del giovane che diresse uno sguardo carico di
acredine verso Miss Pool, l'autrice del lancio, che contrattaccò in
tono calmo se pur imperativo: -tu mi hai fatto perdere 500 euro, e lo
sapevi bene che il nostro business sono i cuori di animali selvatici
serviti vivi, se vuoi farti venire rimorsi di coscienza fallo fuori
da qui e visto che disprezzi il nostro lavoro, disprezzerai anche
l'ultima busta paga. A noi fa un immenso piacere conservare questo
denaro immondo. Ora sparisci, anima pura.
Miss Pool gli aveva lanciato contro il cuore del daino. Alle spalle.
Svilendo lui e l'animale.
Ma infondo anche Victor l'aveva fatto. Corrispondeva a verità che
sapesse qual era la frequentazione di quel luogo, corrispondeva a
verità che ne conoscesse il menu.
L'ex maître, ormai solo studente di medicina, offrì lo sguardo più
desolato che serbasse nel cuore a quel panorama degno di uno scenario
apocalittico. Lui, il cuore del daino, e per un istante la stessa
Miss Pool, poggiarono le loro estremità inferiori su carcasse di
animali spenti nel nome della vacuità e della scelleratezza umana.
Victor si chinò, sudando lacrime gonfie di rancore, prese il cuore
del daino e, con la maestria dello specializzando in medicina
chirurgica, sondò i corpi senza vita dei “partecipanti” al
macabro banchetto in cerca del Suo daino. Tastò una salma ancora
calda e ci provò, ricollocò il cuore laddove era stato tragicamente
estirpato, cucì, gemette, lagrimò. Non pregò, ma ci credette
tanto.
Poi, sconfitto, lasciò quella palude di relitti mai rivendicati.
“Suo
daino”, (ormai si era conquistato un nome visto che era
praticamente risorto) rimase steso a terra per giorni, un po' per
fingersi saggiamente cadavere tra i cadaveri, un po' perché,
nutrendosi di cibo in avanzato stato di decomposizione, gli mancavano
proteine e vitamine essenziali.
Questa lenta e lontana dall'essere ben eseguita riabilitazione fu
causa dell'estrema debolezza delle zampe di Suo daino e di quel manto
grigiastro, sottile, quasi diafano.
Il cuoco di “Cuore pepe rosa & corna” non lo vide, Zar, il
nuovo maître, non lo vide. Persino la temibile Miss Pool non diede
cenno di sorpresa alcuna quando Suo daino si sollevò scricchiolando
sulle zampe posteriori e prese la via del bosco.
Suo daino vagava come uno spettro in quello che doveva essere il suo
habitat naturale, la foresta, ma che, in queste nuove vesti, sentiva
estranea, a tratti ostile. Suo daino si era spesso ritrovato a
chiedersi il perché di quello stato d'animo. Non riusciva a darsi
una spiegazione, ma forse quelle mani che lo avevano rimesso in vita,
gli avevano trasmesso qualche infinita particella di sé, qualcosa di
vagamente umano. Per un istante Victor e Suo daino erano entrati in
simbiosi come due gemelli omozigoti nell'utero materno. Tanto era
bastato.
Come daino era troppo uomo, e come uomo era troppo daino.
Questa condizione di disallineamento alla sua natura intrinseca lo
portava inevitabilmente a schivare i suoi simili perché inabile di
condividerne entusiasmi e motivazioni, e lo spingeva ad addentrarsi
altresì in emozioni e comportamenti prettamente umani.
Fu dunque questa la cagione che accelerò l'ormai ineludibile
processo di avvicinamento di Suo daino all'apollinea donna che
trovava dimora alle propaggini del bosco il cui sguardo curioso e
accogliente allietò la rieducazione del convalescente.
In quella donna, ne era sicuro, albergavano bellezza e magnanimità
equamente distribuiti.
In quella donna Suo daino trovò riparo dagli sguardi increduli dei
suoi simili. Dalla mano di quella donna Suo daino fu' prima
timidamente, poi voracemente sfamato. Grazie a quella donna Suo daino
trovò il suo angolo di eden.
Suo daino e Greta (questo il suo nome) erano diventati amici.
Greta nutriva Suo daino con cadenza quotidiana, servendo frutti
succosi accompagnati da verdure amorevolmente cucinate al vapore. Il
manto di Suo daino aveva ricominciato a splendere fors'anche più di
un tempo. Le zampe solide e ben ancorate a terra. Le corna ricche di
sali minerali e rigogliose come rami di quercia.
Suo daino era orgoglioso della sua ritrovata forma e con sguardo
complice contemplava la sua bella a conferma di un reciproco
sentimento.
Greta, dal canto suo, ricambiava con infinite premure e sollecite
cure.
I due erano inseparabili, la loro gioia palpabile.
Era giovedì. Giorno di bacche e germogli.
Suo daino si era preparato tutto il giorno per questa serata
importante, aveva cercato per ore la bava di lumaca fresca per
arrotolarcisi e guadagnare quel pelo liscio e lucente che desiderava
sfoggiare in presenza di Greta. La sua umana speciale indossava un
elegantissimo abito lungo.
Greta, al cospetto di un esemplare di daino dalla rara e atletica
bellezza, chiese al suo animale speciale di avvolgerla con le
poderose zampe, in un abbraccio che sanciva, di fatto, l'inizio di
una vera e propria storia d'amore.
Suo daino non attendeva che queste parole per cingere la sua dama e
offrirle il sentimento più nobile che il suo cuore potesse ospitare.
“Il mio cuore è tuo”, le disse.
E lei se lo prese.
Con gesto fulmineo e precisione goniometrica la fanciulla infilò
quella carezzevole mano divenuta un infallibile artiglio tra i punti
di sutura ancora chiaramente visibili sul petto del cervide. Nel
farlo, ancor più si avvicinò al volto del daino, ancor più lo
sguardo dritto negli occhi.
“Questo cuore”, sentenziò lei “è sempre stato mio, me lo sto
solo riprendendo.”
Suo daino era confuso, la fissava, e quello sguardo gli rimembrava
qualcosa che forse aveva deciso di ignorare, forse voluto
dimenticare.
Mentre Greta trascinava il corpo quasi esanime della bestia sul retro
della casa, Suo daino Vide. Vide gli altri corpi. E iniziò a
ricordare. Vide il retro dell'edificio che emergeva dalle tenebre
adiacente la casa di Greta. Vide “Cuore pepe rosa & corna”. E
mentre l'ultimo alito di vita usciva dal petto di Suo daino,
l'animale udì chiaramente una voce appellare Greta, la Sua Greta:
-Miss Pool la prego faccia in fretta, i russi aspettano!”.