INTRODUZIONE (valida per tutte le opere presentate)
Ho dipinto corpi di donne nude, teste glabre su sfondo rosso per vent’anni. Sempre, senza alcuna eccezione.
La verità è che non ho mai scelto niente, ho sempre semplicemente seguito ciò che sentivo e che pulsava sotto la pelle.
Nel 2013 mi diagnosticano un tumore al cervello e vengo operata per farmelo rimuovere.
In quella circostanza mi rendo conto che divento la donna che, per oltre vent’anni, ho ossessivamente rappresentato, il prodromo di ciò che stavo vivendo.
In ospedale, a operazione conclusa, chiedo la mia tavola, i miei colori. E dipingo una donna con lunga chioma nera, lo sfondo turchese acceso.
Dipingo di getto, ancora una volta ascoltando le mie viscere, ancora una volta non compiendo una scelta.
Non ho mai più usato il rosso. Non ho mai più dipinto donne senza capelli.
Continuo a vivere ma la mia vita cambia ancora. Comincio a soffrire di amnesia. Purtroppo perdo i ricordi più belli, e tutto si avvolge in un enorme nebulosa che mi regala momenti di grandissima angoscia. Questo mi motiva a cercare di recuperare la memoria con ogni mezzo possibile.
Mossa da un sentimento molto vicino alla disperazione mi rivolgo a uno psicologo esperto in ipnosi regressiva.
Invece d'ipnotizzarmi, lo specialista mi aiuta a convincermi che i ricordi perduti sono perduti e, soprattutto mi aiuta ad accettarlo.
Mi offre poi uno strumento efficacie per non privarsi anche dei nuovi ricordi, di quelli che verranno. Mi suggerisce di annotarli.
Inizialmente ero riluttante ad accettare la sua richiesta, non mi è mai piaciuto scrivere.
Inizio a inventare storie che mi ricordino le emozioni a cui ero particolarmente legata e che volevo rievocare.
Ho sentito il bisogno di fare lo stesso attraverso la pittura, quindi ho inventato dei simboli ai quali attribuisco un'emozione che voglio mantenere viva. Alcuni sono ricorrenti, perché legati a sentimenti che si ripetono nella mia vita quotidiana. Ad esempio, quando disegno un uncino, lo associo al desiderio di tenere legate reminiscenze spesso spazzate via dalla mia amnesia e allo stesso tempo il tentativo, letteralmente, di recuperare ricordi perduti chissà dove in un mare troppo grande.
L'altro è l'occhio che esprime la paura legata all'essere preso di mira da persone che desidero avere lontane e la conseguente voglia di scomparire dalla vista di tutti e di stare solo con chi mi protegge, in un luogo sicuro.
Altri simboli invece vengono ideati volta per volta, a seconda del tipo di emozione e del momento della vita che desidero rappresentare. Chiaramente si tratta di pensieri astratti che si intrecciano in composizioni ardite, come complesse e intrecciate sono le nostre emozioni.
Questo però è logicamente solo l'inizio di un processo di apertura della mente e di esplorazione. Questo indagare della mente mi ha portata lontana dalla mente, perché ella si esprime sempre e solo attraverso le parole e dentro di essa sono contenute solamente idee e forme che ella conosce. (Lo spiega bene il filosofo Igor Sibaldi nel libro “Prigioni”. Le pene collettive).
Per l'altra parte della psiche, invece, le parole sono solo un impedimento per un mondo che possiamo creare con la nostra immaginazione.
L'immaginazione è il contatto con tutto quello che nella nostra psiche non è mente:
l'immaginazione fa scoperte, intuisce il futuro, ricorda un passato lontano e dimenticato. Ma questo alla mente non piace perché ci svincola dal suo controllo, così ella ci convince che sia solo frutto della nostra fantasia.
Questo persistente senso d'incompletezza, la conseguente inadeguatezza e non omologazione agli altri che mi ha camminato a fianco per tanti anni trova ora una forma di tregua e pace con me stessa.
Le facoltà tanto osteggiate dalla mia mente, la sensazione, l'intuizione, il sentimento allungano il passo e si allontano da lei, toccando vette che ella non potrà mai raggiungere.
Come si traduce questo nelle mie opere?
Sono ancora inevitabilmente legata a un tipo di simbologia riconoscibile, antropomorfa, ma l'obbiettivo che sto perseguendo è di attuare nell'arte quel distacco dalla mente di cui sin ora ho parlato immaginando mondi ed esseri che non esistono, le cui forme non sono note, esprimendo emozioni attraverso forme non reali, libere da schemi mentali, frutto di una profonda introspezione e di liberazione della creatività e dell'istinto.
Come Keplero, voglio andare a vedere, andare a curiosare dove non sono mai stata. Usando intuito, logica, immaginazione. Andare a vedere con gli occhi della mente.
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Questo il racconto ispirato all'opera:
CUORI AVIDI, AVIDE MANI, MANI CHE INTRECCIANO IL BUIO
Cornoforte era un giovane vecchio, aveva un'azienda di moda ereditata dai ricchi genitori ormai morti, amava ubriacarsi, i tessuti scozzesi, le belle donne e sfrecciare per la città con la sua vespa piaggio 50.
Cornoforte passava le giornate sorseggiando gin e girovagando per il centro in cerca di nuovi soggetti degni della sua collezione. Cornoforte aveva molti trucchi e fantasia nell'inventare storie per ammaliare giovani e bellissime donne, ma non ne aveva in quanto a scegliere caratteristiche onorevoli per le fanciulle che gli sarebbero state a fianco. Se eri bellissima, giovane, ambiziosa e avevi lunghi capelli odoranti di rose, allora eri perfetta.
Cornoforte conosceva ogni angolo di Firenze, era merito dei genitori defunti che avevano condiviso con lui storie e leggende dell'antica e misteriosa città.
Cornoforte era abbastanza intelligente da usare questa conoscenza per irretire giovani sprovvedute e farle cadere nella sua trappola d'amore. Le studiava da lontano, le adescava e infine le faceva sedere sul lato della sua vespa, proprio come si faceva negli anni '60. Mostrava loro tutti i segreti della sua Firenze e, quando erano pronte, le seduceva con un romantico drink sorseggiato da quel remoto scorcio della città che solo lui conosceva e che sta dividendo solo e soltanto con te, l'unica amante meritevole del suo amore.
Quando la giovane era cotta a puntino, innamorata e pronta a fare tutto per il suo principe azzurro, è allora che Cornoforte metteva in atto il suo piano e iniziava a plasmare il soggetto affinché fosse degno di essere collezionato. Lo portava nella sua sontuosa dimora e ben presto informava la sventurata della presenza delle altre sue donne stipate nel vivaio perché non più all'altezza di sedere al di lui fianco. Ma la sua nuova prescelta non avrebbe avuto nulla da temere se si fosse mantenuta bella, giovane e con una chioma folta e lucida.
Le poverette entravano in una spirale emotiva per cui accettavano ogni tipo di umiliazione pur di continuare a essere degne dell'amore di un uomo così speciale; finché un bel giorno, inevitabilmente, il principe varcava la soglia di casa con una ragazza più giovane, più bella e dai capelli più splendenti. Allora Cornoforte la sedeva su quella gelida sedia e le diceva con calma e rigore emotivo: “eri stata avvisata, io ti ho messo nella condizione di essere la migliore, ma tu hai fallito miseramente. Ti devo mettere nella serra, con le altre”.
Lo diceva con freddezza, carezzandole il volto, con movenze robotiche, usate in chissà quante altre occasioni.
“Io sono un uomo giusto e lungimirante” proseguiva l'uomo retto, “e ti darò la possibilità di uscire da lì e di essere di nuovo la migliore, di sedere nuovamente al mio fianco, ma dovrai dimostrarmi di meritarlo di nuovo. Sii la più bella per me”.
Contrariamente a quanto ci si aspettava la serra era buia, ricavata da un buco nel terreno. L'ambiente al suo interno era greve e umido.
La nuova arrivata veniva issata esattamente al centro della voragine, nella parte superiore. Era completamente buio. Guardando in basso le pareva di scorgere pianti rampicanti che si estendevano fino al fondo del buco.
Era stata drogata e presto aveva perso i sensi. Al suo risveglio ebbe la sensazione di essere avvolta da qualcosa di viscido e pulsante, che l'attraeva verso il basso, ma non riusciva a vedere né sentire niente. Sentiva solo un brusio, una sorta di sordo lamento provenire dal fondo dell'enorme foro ma, forse, non voleva nemmeno sapere.
La notte passò così finché la mattina seguente il premuroso principe aprì la botola e gettò nutrimento all'ultima arrivata mettendola in guardia: “le altre proveranno a levarti il cibo per scavalcarti e diventare loro le prime, le più belle, ma tu dovrai dimostrare di essere la migliore, l'unica virtuosa, solo così potrai tornare a essere l'unica degna di sedere al fianco del mio trono”.
Non appena Cornoforte avvicinò il cibo alle mani dell'ultima arrivata, il buco si animò. Complice il chiarore della porta aperta, la giovane volse lo sguardo verso il basso e vide le altre donne. Erano denutrite, abbrutite e impaurite. Tutte loro erano collegate le une alle altre grazie a radici che correvano lungo tutto il perimetro della serra.
Quando il cibo arrivò alla prima, le altre iniziarono a dimenarsi e urlare di lasciare loro qualcosa. Ma no, lei non poteva. Lei non VOLEVA. Doveva nutrirsi, doveva essere bella e doveva mantenere la sua chioma lucida così il principe l'avrebbe fatta tornare nel luogo che le spettava, il suo regno.
Così divorò tutto con avidità, si sentiva esplodere, ma non lasciò nemmeno una briciola alle altre. Sarebbe rimasta solo lei, ne era certa. Ma la sua mente ingenua e disperata non aveva preso in considerazione che i piani del principe non collimavano esattamente con i suoi.
Più l'illusa concubina serbava il cibo per sé, più la pianta succhiava la sua linfa vitale. Spietato ma efficacie.
Al principe non interessava che né lei né nessun'altra uscisse da quella prigione, una per una venivano rimpiazzate sempre da qualcuno di nuovo. Al principe interessava solo che queste donne fossero un suo possedimento, di disporre delle loro vite e sapere che avrebbero fatto qualsiasi cosa per lui. Le teneva in vita con un macabro ma funzionale stratagemma che avrebbe impedito loro di ribellarsi ma che avrebbe fatto leva sulle loro fragilità, mantenendo la gerarchia stabilita dal principe, senza timore di sovversioni.
Alla donna più in alto veniva offerto molto cibo. Il principe era certo che non lo avrebbe diviso con le compagne, e così quelle sotto di lei non lo avrebbero fatto a loro volta.
Per evitare imbarazzanti decessi predisponeva il corpo dell'ultima reclusa, la più forte, in modo che emanasse nutrimento alla donna sottostante, lo faceva usando le radici delle piante che avvolgevano i corpi delle recluse.
Più si scendeva in basso, meno nutrimento arrivava. Via via fino all'ultima, la più consapevole del lugubre meccanismo ma la più debole per poter reagire.
Le piante nutritive succhiavano bellezza dai volti, lucentezza dai capelli e man mano che si scendeva verso il basso dell'abisso, le donne erano sempre più pallide ed emaciate, ma soprattutto a corto di speranza.
Durante uno dei suoi giri di ricognizione Cornoforte venne fermato da una turista che chiedeva informazioni sulla città. Accettò d'intrattenersi con lei malgrado la sua non più giovane età, un taglio di capelli corto e irriverente che incorniciava un viso spigoloso, interessante sì, ma non bello.
Per puro narcisismo il giovane seduttore fece sfoggio di tutto il suo sapere, i suoi modi migliori. Con malcelato stupore Cornoforte accolse il prematuro congedo della donna che non parve per nulla rapita dal fascinoso sconosciuto.
Quella notte andò a casa, e non riuscendo a spiegarsi l'accaduto dormì con gli occhi aperti.
In preda all'ira scese nella serra e ancor prima di trovare la nuova eletta imprigionò la sua ultima conquista per far posto alla sconosciuta che gli aveva rubato il sonno. Doveva averla a tutti i costi.
Cercò di lei per giorni, in ogni angolo di Firenze, quando finalmente la trovò non si dette pace finché non la fece sua.
Ma si stancò anche di lei.
La nuova arrivata non fece troppe storie quando venne rinchiusa con le altre e il principe scambiò il suo atteggiamento remissivo per mancanza di carattere, probabilmente dovuto alla poca avvenenza.
Quando Cornoforte aprì la botola per nutrire la sua mediocre conquista, non si accorse nemmeno che ella conservò parte del cibo per spartirlo con le sue compagne. Era talmente convinto dell'ordinarietà della malcapitata che non si rese conto che giorno dopo giorno quella donna dall'aspetto modesto stava nutrendo un esercito che presto si sarebbe ribellato al suo carceriere.
Nutriva per prima sé stessa, con la porzione più grande, per essere in grado di afferrare il principe e gettarlo nella fossa, di balzare fuori e chiedere aiuto, diceva alle amiche.
Loro avrebbero fatto il resto.
Insegnò loro la solidarietà femminile, un comportamento umano praticamente sconosciuto al gregge di anime perse in quell'angolo di disperazione, ma i cui effetti potevano essere grandiosi. Insegnò loro a non vedere una nemica in chi ci sta vicino, ma una preziosa alleata, a non far ruotare tutta la loro esistenza attorno al loro aspetto fisico.
Insegnò loro a credere in sé stesse.
Al settimo giorno Cornoforte si affacciò sull'orlo del burrone e la mediocre bellezza lo afferrò per la cintura e gli balzò in cima al capo, gettandolo in pasto alle floride ribelli. Lui era un giovane forte e robusto, ma loro avevano imparato che l'unione fa la forza e combatterono l'una al fianco dell'altra per sconfiggere il malefico Cornoforte.
Incredule della loro stessa impresa, ma forti di un insegnamento che non avrebbero dimenticato, volsero lo sguardo in cerca della loro condottiera che era riuscita a risalire la china balzando fuori dal buco.
La non giovane, la non bella non si era tenuta in forze per aiutare le sue compagne di sventura a salvarsi, aveva trasmesso loro nobili insegnamenti, ma era solo una trappola. Così come aveva ingannato quel principe talmente pieno di sé da non accorgersi che era stato raggirato, e ancor prima spiato dentro la sua stessa casa da una mente più avida e perfida della sua.
Aveva architettato tutto per rubare le di lui ricchezze, poco importava se aveva illuso e condannato le persone che avevano creduto in lei. Ora possedeva tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Almeno così credeva.
I poveri dannati deperivano ogni ora di più dentro al buco, più si avvicinavano alla morte più le piante che davano loro nutrimento diventavano forti e rigogliose.
In pochi giorni la vegetazione si aprì un varco dentro le tubazioni della ricca dimora, s'infilò nei muri, s'intrecciò ai cavi elettrici.
Alla fine del quarto giorno avvolse completamente l'intera casa, impedendo ogni via di fuga.
Non sapendo dove trarre altra linfa vitale iniziò a nutrirsi di tutto ciò che di commestibile trovò dentro la casa, tende comprese.
La nuova facoltosa proprietaria non poté far altro che assistere sbigottita al tragico e incredibile susseguirsi degli avvenimenti.
Ora aveva un sacco di denaro, possedeva preziose porcellane, antichi cimeli di famiglia, elaboratissimi broccati e mobili dall'inestimabile valore. Ma non aveva più cibo.
Provò ad addentare un coppa in oro strappando i diamanti incastonati con i denti, ma si procurò solo ferite e amarezze. Ingoiò la polvere intrappolata tra le fessure del mosaico parietale, ma le provocò solo tosse e irritazione alla gola.
Si sedette, si guardò attorno e riempì il suo stomaco con tutte le vacue ricchezze di cui poteva godere.
Viva la regina.