God's own country è l’interpretazione di un fotogramma dell'omonimo film - diretto nel 2017 dal regista britannico Francis Lee - e fa parte di un ciclo di lavori
ispirati alle numerose pellicole che ho avuto modo di vedere (o ri-vedere)
durante i mesi di chiusura dovuta all’emergenza sanitaria. Ho sempre nutrito
una profonda passione per l’arte cinematografica; tuttavia, proprio il forzoso
isolamento da lockdown mi ha dato modo di riprendere e approfondire la
visione di capolavori che già conoscevo, nonché di imbattermi in realtà a me
nuove, avviando così nuovi importanti spunti di riflessione.
In tal senso, la visione di
questi film era diventata, assieme alla pittura, il principale canale di sfogo
e di nutrimento artistico, in assenza pressoché totale di qualsiasi altro
contatto sociale. Un modo per far viaggiare la testa a velocità altissima, con
cambi di situazioni e prospettive tanto repentini quanto il passaggio da un
film all’altro. Proprio nel momento in cui il mondo, al contrario, viveva una
sospensione al limite del surreale.
La scelta delle pellicole,
apparentemente casuale, in realtà rispondeva a precise linee di ricerca che –
all’inizio inconsciamente, poi con sempre maggior consapevolezza – stavo
cercando di sviluppare, nel tentativo di trovare punti di contatto tra il mio
lavoro (e, quindi, me stesso) e i film di cui mi nutrivo così voracemente.
Attraverso il cinema, dunque,
l’astinenza sociale si è tramutata in un modo per riflettere intimamente su me
stesso. E scoprire, forse, qualcosa di ancora nuovo.