Essere, nel volteggiare dei mondi dell'universo,
come il pulviscolo floreale che un vento sconosciuto
solleva nella brezza della sera.
Fernando
Pessoa, Il libro dell'inquietudine,
1982
"L'indissolubile
dialettica mai statica tra l'impercettibilità sfuggente degli umani
stati d'animo
e il soave ribollire della natura è da sempre un aspetto cruciale
dell'opera di
Brigitta Rossetti. L'operare della natura è frutto di un codice
costituito da un
a priori che tuttavia rivede sempre i propri grovigli interni
manifestando
volta per volta nuove fioriture e che sovente si evolve in una
commistione di
eventi che misteriosamente va di pari passo col mero
accadimento. “La
Natura è un oggetto enigmatico, un oggetto che non è del tutto
oggetto... non
ciò che ci è dinanzi, ma ciò che ci sostiene”, sosteneva il filosofo
francese
Maurice Merleau-Ponty durante una delle sue lezioni al Collège de
France tra il
1956 e il 1960. Le tele di Rossetti possono essere considerate come
un elogio
della traccia poiché questa leggiadra concezione della natura è
presente in
ogni tratto, linea, macchia, sfumatura, accenno, sbavatura, piega,
sovrapposizione,
curva delle sue composizioni. Tuttavia, tale punto liminale che
le opere
dell'artista sono soavemente in grado di raggiungere, quell'impalpabile
incrocio di
visibile e invisibile in cui ogni cosa è prossima ad acquisire la forma
dell'essente
ma è ancora attratta indietro verso il suo primordiale stato di pura
potenza è rappresentato
da Rossetti con tutta la sua forza generatrice. Tracce
organiche,
viscose scie di linfa bucolica decantano la succulenza di una bellezza
riproduttiva
che, profondamente, strizza l'occhio alla concezione merleau–
pontiana della
natura, traducibile nei termini di una ontologia
della carne. Ciò
che avviene in
quel disteso e silenzioso crocevia giacente di cromie pastorali è
l'encomio del
pre-categoriale, del primordiale in cui ogni cosa risulta nella sua
labile
organicità e in cui ogni cosa può diventare l'altra, così come il bombice del
gelso può
tramutarsi in seta o il lino della tela in fiore. Questa connessione
viscerale fra
tutte le cose e soprattutto dell'uomo, inteso come pianta d'uomo,
con i processi
sempre in divenire della natura è resa attraverso la tecnica
pittorica di
Brigitta Rossetti nello splendore di una manifestazione oziosa e
consapevole
che si intreccia intimamente con le parole che Pessoa scrisse nel suo
Il Libro dell'inquietudine:
“Essere questo con una conoscenza sicura, né allegra
né triste,
grato al sole per il suo brillio e alle stelle per la loro lontananza. Non
essere di più,
non avere di più, non volere di più…”.
Testo critico a cura di Domenico de Chirico