B come Betulle, B come Balena
Il caso genera l’arte, l’arte genera il caso. Betulle e
Balena le due parole sorteggiate per il secondo dipinto.
Ma voglio partire da un’altra parola (anzi due) che mi sono
state suggerite, contenute in un detto piemontese: Coma na barca ant el
bòsch. È un modo di dire che le cose non vanno bene, che si è fuori posto proprio
Come una barca nel bosco. La risposta, al classico Come va?, è
sconsolata ma, in questa visione improbabile mantiene una sottile ironia che
emerge come un piccolo raggio di sole dalla nebbia.
Nel quadro invece di una barca troviamo un gonfiabile finito
in un bosco, uno scenario inverosimile con le betulle, piante eleganti, vestite
della loro livrea bianca striata di nero che svettano esili verso il cielo in
cui si è incastrata la grossa balena di gomma. Le betulle simboleggiano la
primavera, la giovinezza, la gioia e a loro, Pablo Neruda, ha dedicato una
poesia che inizia così:
Come la pelle della betulla sei argentea e odorosa, devo
contare sui tuoi occhi per descrivere la primavera.
Ma nonostante questa bellezza
decantata, sono troppo secche, filiformi, alte e inutili, meglio un castagno o
una solida quercia. La balena che è invece simbolo di rinascita emotiva e il
suo caratteristico richiamo rappresenta la necessità di connettersi con gli
altri e riscoprire i valori della comunità, è da sempre usata in maniera
distorta e scordando la regale eleganza di questo mammifero, per descrivere una
persona particolarmente grassa e tozza.
Questo quadro diventa quindi
occasione per soffermarci su un problema che esiste da sempre e che, negli
ultimi anni, sembra aver avuto un’impennata a causa della crescita dei modelli
perfezionistici che la società ci impone: la dismorfofobia. È la percezione
distorta della propria immagine corporea dove, l’ossessione per un difetto, a
volte anche minimo, a volte inesistente, può causare un disagio significativo e
un impatto negativo sulla qualità della vita. Ancora una volta l’accusa è per
questo mondo moderno in cui la bellezza è spettacolarizzata, massificata,
mercificata, in cui il nostro apparire è sotto il duro giudizio dell’altro,
giudice e inquisitore che decreta il nostro diritto a vivere o la nostra
condanna a nasconderci. È importante ricordare che la bellezza è un
concetto soggettivo e che ogni individuo è unico e prezioso a modo suo.
Dobbiamo sforzarci di abbracciare la diversità e di riconoscere che non esiste
un unico standard di bellezza. Dobbiamo vedere quel raggio
di sole tra la nebbia e riprenderci la nostra coscienza, staccare le etichette
che ci vengono apposte per stereotiparci e cancellare la nostra vera identità.
Non sentiamoci più fuori posto.